Ricorso  della  Regione  Valle d'Aosta, in persona del Presidente
della  regione  e  legale  rappresentante  pro  tempore,  on. Luciano
Caveri,  giusta deliberazione della giunta regionale n. 1623 adottata
in  data 1° giugno 2006 (doc. 1), rappresentata e difesa, in forza di
procura a margine del presente atto, dell'avv. prof. Giampaolo Parodi
del foro di Genova, ed elettivamente domiciliata presso il suo studio
in Roma, via di Ripetta n. 142;

    Contro  la  presidenza  del Consiglio dei Ministri in persona del
Presidente   del   Consiglio   in  carica  per  la  dichiarazione  di
illegittimita'  costituzionale del decreto legislativo 3 aprile 2006,
n. 152  (Norme  in  materia  ambientale),  pubblicato nel supplemento
ordinario  n. 96 alla Gazzetta Ufficiale - serie generale - n. 88 del
14  aprile 2006, con riferimento agli articoli 6, 4, comma 1, lettera
a),  numero 3, 7, comma 3, 10, 12, comma 2, 16, 68, 23, comma 4, 25 e
31, commi 1 e 2, 33, 63, 64, 202 e 203.

                              F a t t o

    Con  il  decreto legislativo 3 aprile 2006 n. 152, recante «norme
in   materia   ambientale»,   il  Governo  ha  esercitato  la  delega
legislativa  di  cui  alla legge 15 dicembre 2004, n. 308, «Delega al
Governo  per  il  riordino,  il  coordinamento e l'integrazione della
legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione»,
la quale, all'art. 1, comma 1, stabilisce: «Il Governo e' delegato ad
adottare,  entro  diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della
presente legge, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica,
uno   o   piu'  decreti  legislativi  di  riordino,  coordinamento  e
integrazione  delle  disposizioni  legislative nei seguenti settori e
materie,  anche mediante la redazione di testi unici: a) gestione dei
rifiuti  e  bonifica  dei  siti  contaminati;  b)  tutela delle acque
dall'inquinamento  e  gestione  delle  risorse idriche; c) difesa del
suolo e lotta alla desertificazione; d) gestione delle aree protette,
conservazione  e  utilizzo  sostenibile  degli  esemplari  di  specie
protette  di  flora e di fauna; e) tutela risarcitoria contro i danni
all'ambiente;  f)  procedure per la valutazione di impatto ambientale
(VIA),   per   la  valutazione  ambientale  strategica  (VAS)  e  per
l'autorizzazione  ambientale  integrata (IPPC); g) tutela dell'aria e
riduzione delle emissioni in atmosfera» (corsivo non testuale).
    Per  quanto  concerne  i  principi  ed  i criteri direttivi della
delega, l'art. 1, comma 8, la legge n. 308, tra l'altro, stabilisce:
        «I  decreti  legislativi di cui al comma 1 si conformano, nel
rispetto  dei  principi  e delle norme comunitarie e delle competenze
per materia delle amministrazioni statali, nonche' delle attribuzioni
delle   regioni   e   degli  enti  locali,  come  definite  ai  sensi
dell'articolo  117  della  Costituzione,  della  legge 15 marzo 1997,
n. 59,  e del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, efatte salve
le norme statutarie e le relative norme di attuazione delle regioni a
statuto  speciale e delle Province autonome di Trento e di Bolzano, e
del  principio  di  sussidiarieta',  ai  seguenti  principi e criteri
direttivi generali:
          a)   garanzia   della  salvaguardia,  della  tutela  e  del
miglioramento  della  qualita'  dell'ambiente, della protezione della
salute  umana,  dell'utilizzazione  accorta e razionale delle risorse
naturali,  della  promozione  sul  piano  internazionale  delle norme
destinate  a  risolvere  i  problemi  dell'ambiente a livello locale,
regionale,   nazionale,   comunitario   e   mondiale,  come  indicato
dall'articolo  174 del Trattato istitutivo della comunita' europea, e
successive modificazioni;
          [...]
          e) piena e coerente attuazione delle direttive comunitarie,
al  fine  di  garantire  elevati livelli di tutela dell'ambiente e di
contribuire in tale modo alla competitivita' dei sistemi territoriali
e  delle imprese, evitando fenomeni di distorsione della concorrenza»
(corsivo non testuale).
    Come si dira', il decreto legislativo impugnato risulta anzitutto
viziato  sotto  il  profilo formale e procedurale, in quanto adottato
attraverso  un  procedimento gravemente lesivo del principio di leale
collaborazione tra Stato, regioni ed enti locali.
    Le  disposizioni specificamente impugnate sia in quanto eccedenti
dai  limiti  della  delega  ed  in contrasto con i principi e criteri
direttivi  sopra  richiamati,  sia  in  quanto  lesive  dei parametri
costituzionali ed interposti di seguito indicati, sono le seguenti:
        l'articolo  6, nella parte in cui prevede un'integrazione con
esperti   regionali   della  commissione  tecnico-consultiva  per  la
valutazioni ambientali del tutto inadeguata;
        gli  articoli  4, comma 1, lettera a), numero 3), 7, comma 3,
10,  12,  comma  2,  16  e 68, relativi alla procedura di valutazione
ambientale strategica (VAS);
        gli articoli 23, comma 4, 25. 31, commi 1 e 2, e 33, relativi
alla procedura di valutazione di impatto ambientale (VIA);
        gli  articoli  63  e  64,  concernenti  le nuove Autorita' di
bacino; gli articoli 202 e 203, relativi alla gestione dei rifiuti.
    In  riferimento  sia  a  disposizioni  statutarie e di attuazione
statutaria,  sia  a  disposizioni del Titolo V della Costituzione, la
richiamata   disciplina   statale   risulta  lesiva  della  sfera  di
attribuzioni  della  Regione  autonoma Valle d'Aosta sotto molteplici
profili.  Di  qui  la  necessita'  della  proposizione  del  seguente
ricorso,  per  la  dichiarazione di illegittimita' costituzionale del
decreto   legislativo   3  aprile  2006,  n. 152  «Norme  in  materia
ambientale»  ed  in particolare degli articoli 6, 4, comma 1, lettera
a),  numero 3, 7, comma 3, 10, 12, comma 2, 16, 68, 23, comma 4, 25 e
31, commi 1 e 2, 33, 63, 64, 202 e 203, per i seguenti motivi di

                            D i r i t t o

    1.  -  Premessa  sulla violazione delle attribuzioni regionali in
materia  ambientale  ed  in  materie  «confinanti»  o «funzionalmente
collegate».
    Prima  di  prendere  in  considerazione  le  singole disposizioni
specificamente    censurate,    e'   necessario   premettere   alcune
puntualizzazioni  sull'ampia competenza legislativa ed amministrativa
della Regione Valle d'Aosta in materia di tutela dell'ambiente, nelle
sue  molteplici  estrinsecazioni,  da tempo acquisita e confortata da
una   giurisprudenza   costituzionale  costante  ed  univoca.  Quanto
premesso  nel presente paragrafo consente di non reiterare ogni volta
gli  argomenti  che devono essere addotti a fondamento delle invocate
competenze   in   materia  di  tutela  dell'ambiente  spettanti  alla
ricorrente.
    Dalla  sent.  n. 1029 del 1988 di codesta ecc.ma Corte risulta un
quadro  di  attribuzioni  costituzionalmente  garantite gia' da tempo
consolidato.  Si  tratta  di  competenze  che  «nel  caso della Valle
d'Aosta, sono in gran parte assegnate alla sua competenza legislativa
primaria  in  base  all'art. 2  dello Statuto di autonomia. A questa,
infatti, sono affidate sia l'urbanistica, l'agricoltura e foreste, la
caccia  e  la  pesca.  il turismo, i lavori pubblici e l'artigianato,
sia.   soprattutto,   la  "tutela  del  paesaggio"  la  quale  appare
contrassegnata  da  una  strettissima  contiguita' con la "protezione
della    natura"    in    quanto    caratterizzata    da    interessi
estetico-culturali (v. sentt. nn. 239 del 1982, 359 del 1985, 151 del
1986)    che,   ancorche'   presenti   nella   materia   disciplinata
dall'art. 83,  sono in quest'ultimo caso trascesi in una visione piu'
ampia,  basata  primariamente  sugli  interessi  ecologici e, quindi,
sulla  difesa  dell'ambiente  come  bene unitario, pur se composto da
molteplici  aspetti rilevanti per la vita naturale e umana (v. in tal
senso  sent.  n. 617  del  1987).  In  altre parole, al livello della
gestione  diretta  delle  attivita' rilevanti per la protezione della
natura  e  dell'ambiente  attuata  mediante  un  parco  nazionale, la
regione  vanta  una  competenza  ad hoc di tipo concorrente (v. spec.
sentt.  nn. 223  del  1984, 183 del 1987), che si affianca a numerose
altre  competenze  su  materie  confinanti (urbanistica, agricoltura,
etc.).  esercitate,  nel  caso della Valle d'Aosta, sulla base di una
potesta' di tipo esclusivo» (enfasi aggiunta).
    Un  implicito  ma  non  meno  significativo  riconoscimento delle
competenze   ambientali   della   ricorrente  si  trova  anche  nella
successiva sent. n. 264 del 1996, che rigetta le censure mosse ad una
legge  della  Valle  d'Aosta  istitutiva  di  una  tariffa  d'uso per
l'ingresso   e  la  circolazione  dei  veicoli  a  motore  in  strade
extraurbane:  «la  legge  indica gia' nel primo articolo le finalita'
giustificative  dei  limiti che si intendono porre alla circolazione:
garantire  il  transito  in  condizioni di sicurezza, il rispetto del
limite  di  carico  del  territorio  interessato,  la riduzione della
congestione  di traffico veicolare e la migliore tutela dell'ambiente
e del paesaggio».
    Nella  successiva  sent.  n. 285  del  1997, pur sfavorevole alla
legge della Valle d'Aosta a suo tempo impugnata, in termini del tutto
espliciti  si  afferma  che  «questa  Corte ha gia' osservato che (v.
sentenza   n. 183   del   1987)  una  competenza  "costituzionalmente
garantita  in  materia  di protezione ambientale" spetta alle regioni
nel  senso che le stesse ben possono unitamente allo Stato o anche in
piena  autonomia,  attivarsi  per  la tutela del bene ambiente contro
tutte le forme di inquinamento» (enfasi aggiunta).
    Le   competenze  ambientali  della  ricorrente  trovano  altresi'
conferma  nell'art. 16  della  legge  16 maggio 1978, n. 196. recante
«Norme  di  attuazione dello statuto speciale della Valle d'Aosta», a
norma  del  quale  «in attuazione dell'articolo 4, primo comma, della
legge   costituzionale   26   febbraio   1948,   n. 4,  in  relazione
all'articolo  2, lettera q), ultima parte, della legge costituzionale
medesima,  sono  trasferite  alla  Regione  Valle d'Aosta le funzioni
amministrative che il Ministero per i beni culturali ed ambientali ed
altri  organi  centrali  e  periferici dello Stato esercitano, per il
territorio delle Valle d'Aosta, in materia di tutela del paesaggio».
    Ulteriore  conferma  delle  attribuzioni  ambientali  della Valle
d'Aosta  e' fornita dall'art. 50 del d.P.R. 22 febbraio 1982, n. 182,
recante  «Norme  di  attuazione  dello statuto speciale della Regione
Valle  d'Aosta  per la estensione alla regione delle disposizioni del
d.P.R.  24  luglio  1977, n. 616 e della normativa relativa agli enti
soppressi  con  l'art. 1-bis  del  18 agosto 1978, n. 481, convertito
nella  legge  21 ottobre  1978, n. 641», che stabilisce quanto segue:
«Le  funzioni  amministrative nella materia relativa alla urbanistica
ed  ai  piani regolatori per zone di particolare importanza turistica
concernono la disciplina dell'uso del territorio comprensiva di tutti
gli  aspetti  conoscitivi,  normativi  e  gestionali  riguardanti  le
operazioni  di  salvaguardia e di trasformazione del suolo nonche' la
protezione  dell'ambiente  e  l'approvazione  di piani regolatori per
zone di particolare importanza turistica».
    Le   richiamate   norme   di  attuazione  mantengono  allo  Stato
competenze  ben circoscritte, come chiaramente risulta dal successivo
art. 51  («Sono  di competenza dello Stato le funzioni amministrative
concernenti:    a)   l'identificazione   delle   linee   fondamentali
dell'assetto  del  territorio  nazionale, con particolare riferimento
all'articolazione  territoriale degli interventi di interesse statale
ed  alla  tutela  ambientale ed ecologica del territorio nonche' alla
difesa  del  suolo;  b) la formazione e l'aggiornamento degli elenchi
delle  zone  dichiarate  sismiche e l'emanazione delle relative norme
tecniche  per  le costruzioni nelle stesse. Per le opere da eseguirsi
da  amministrazioni statali o comunque insistenti su aree del demanio
statale  l'accertamento  della  conformita'  alle  prescrizioni delle
norme  e  dei  piani  urbanistici  ed edilizi, salvo che per le opere
destinate alla difesa militare, e' fatto dallo Stato di intesa con la
regione»; corsivo non testuale).
    In  materia  ambientale,  di fondamentale importanza sono poi gli
artt. 67 e 68 del d.P.R. 22 febbraio 1982, n. 182.
    Non  e' inutile riportare l'intero art. 67, che stabilisce quanto
segue:
    «Sono    trasferite   alla   regione,   salvo   quanto   disposto
successivamente,  le  funzioni amministrative esercitate dagli organi
centrali  e  periferici  dello Stato in ordine all'igiene del suolo e
dell'inquinamento  atmosferico, idrico, termico ed acustico, compresi
gli aspetti igienico-sanitari delle industrie insalubri, salvo quanto
disposto dalla legge 23 dicembre 1978, n. 833.
    Il trasferimento riguarda in particolare le funzioni concernenti:
        a)  la  disciplina  degli  scarichi e la programmazione degli
interventi   di   conservazione   e  depurazione  delle  acque  e  di
smaltimento dei rifiuti liquidi e idrosolubili;
        b)  la  programmazione di interventi per la prevenzione ed il
controllo  dell'igiene  del  suolo  e  la  disciplina della raccolta,
trasformazione e smaltimento dei rifiuti solidi urbani industriali;
        c)  la  tutela  dall'inquinamento  atmosferico  ed  idrico di
impianti  termici  ed  industriali  e  da  qualunque altra fonte, con
esclusione di quello prodotto da scarichi veicolari;
        d)  il  controllo e la prevenzione dell'inquinamento acustico
prodotto  da  sorgenti  fisse,  nonche'  quello  prodotto da sorgenti
mobili  se  correlate  a  servizi, opere ed attivita' trasferite alle
regioni;
        c)  la  formazione  professionale degli addetti alla gestione
degli impianti termici.
    Sono inoltre trasferite alla regione le funzioni statali relative
al  comitato  regionale per l'inquinamento atmosferico che potra' sua
composizione e nelle sue funzioni anche con riferimento alle funzioni
regionali  in  materia  di igiene acustica, idrica del suolo: nonche'
alla   commissione   regionale  per  la  protezione  sanitaria  della
popolazione  dai  rischi  delle  radiazioni,  di  cui all'art. 89 del
decreto del Presidente della Repubblica 13 febbraio 1964, n. 185».
    E'  necessario  ricordare  anche il successivo art. 68 del d.P.R.
22 febbraio  1982,  n. 182,  che circoscrive le competenze conservate
allo  Stato  attraverso  una  elencazione  tassativa, dalla quale non
risulta  alcun  titolo  giustificativo delle disposizioni legislative
che con il presente ricorso si impugnano.
    In  generale,  e  al  di  la' delle specifiche attribuzioni della
Regione  autonoma  Valle  d'Aosta,  occorre  fare un cenno anche alla
giurisprudenza  costituzionale  precedente  la revisione del Titolo V
riguardante  anche  le  regioni  di  diritto  comune,  giacche' tra i
principi   e   criteri   della   delega   vi   e'  quello  che  vieta
l'anacronistico  ridimensionamento  delle  attribuzioni  regionali in
materia  ambientale,  come  definite dalla legislazione precedente la
novella  costituzionale,  secondo quanto stabilito dall'art. 1, comma
8, la legge n. 308 del 2004, sopra citato.
    Gia'  nella  sentenza  di codesta ecc.ma Corte n. 183 del 1987 si
osservava   che   «non  puo'  negarsi  alla  Regione  una  competenza
costituzionalmente  garantita in materia di protezione ambientale, il
cui  contenuto  puo' essere individuato, in relazione all'assetto del
territorio  e  dello  sviluppo sociale e civile di esso, per un verso
nel  rispetto  e nella valorizzazione delle peculiarita' naturali del
territorio   stesso,  per  altro  verso,  nella  preservazione  della
salubrita'   delle   condizioni  oggettive  del  suolo,  dell'aria  e
dell'acqua a fronte dell'inquinamento atmosferico, idrico, termico ed
acustico.
    Cio' si desume dall'interpretazione teleologica della elencazione
delle  materie  contenuta  nell'art.  117, e richiamata dall'art. 118
Cost., atteso il collegamento funzionale intercorrente fra la materia
ora  indicata con quelle che riguardano comunque il territorio (sent.
n. 225  del  1983),  ma  particolarmente  con quella dell'urbanistica
(funzione  ordinatrice, ai fini della reciproca compatibilita', degli
usi  e  delle  trasformazioni  del  suolo  nella  dimensione spaziale
considerata  e  nei  tempi ordinatori previsti: cfr. sent. n. 151 del
1986)    e    con   quella   del   paesaggio   (tutela   del   valore
estetico-culturale:   cfr.   ivi)   ed   altresi'   con   la  materia
dell'assistenza sanitaria (complesso degli interventi positivi per la
tutela  e  promozione  della salute umana). Dalle quali, peraltro, la
materia  della protezione ambientale si distingue per la specificita'
dell'interesse  perseguito. Ma soprattutto cio' si ricava dalle norme
interposte  rispetto  a  quelle  costituzionali suddette, di cui agli
artt. 80.83  e 101 del d.P.R. n. 616 del 1977» (conforme, ex plurimis
la piu' recente sent. n. 382 del 1999).
    Ma   anche   la  giurisprudenza  costituzionale  successiva  alla
revisione  Titolo  V  conferma  le  attribuzioni regionali in materia
ambientale,  soprattutto  a  partire  dalla sent. n. 407 del 2002: «I
lavori  preparatori relativi alla lettera s) del nuovo art. 117 della
Costituzione inducono, d'altra parte, a considerare che l'intento del
legislatore  sia  stato  quello  di  riservare comunque allo Stato il
potere di fissare standards di tutela uniformi sull'intero territorio
nazionale,  senza  peraltro escludere in questo settore la competenza
regionale  alla cura di interessi funzionalmente collegati con quelli
propriamente  ambientali,  In definitiva, si puo' quindi ritenere che
riguardo  alla  protezione  dell'ambiente  non si sia sostanzialmente
inteso   eliminare   la   preesistente   pluralita'   di   titoli  di
legittiinazione   per   interventi  regionali  diretti  a  soddisfare
contestualmente.  nell'ambito  delle  proprie  competenze,  ulteriori
esigenze  rispetto  a  quelle  di  carattere  unitario definite dallo
Stato»  (conformi, ex plurimis, le sentt. nn. 222 e 307 del 2003; 62,
108, 135 e 214 del 2005).
    Con  riguardo  alla  posizione delle regioni a statuto speciale e
delle  Province  autonome,  per  un  verso, le piu' estese competenze
legislative   statali   in   materia   di   tutela   dell'ambiente  e
dell'ecosistema  non possono essere opposte alla ricorrente, ai sensi
dell'art.  10  della legge costituzionale n. 3 del 2001; per un altro
verso,  le  Regioni  a  statuto  speciale conservano la competenza in
materia di tutela dell'ambiente loro pacificamente riconosciuta prima
della revisione costituzionale del 2001, che rimane ferma, unitamente
a   tutte   le   altre   attribuzioni   statuarie  come,  da  minimo,
implicitamente  ma chiaramente confermato dalla sent. n. 215 del 2006
di codesta ecc.ma Corte (punto 2.3. del Considerato in diritto).
    D'altro  canto,  per  quanto  riguarda  le  materie di competenza
legislativa   di   cui  all'art. 117,  terzo  e  quarto  comma  della
Costituzione,  non  si  puo'  certo  escludere che le medesime vadano
riconosciute  anche  alla  ricorrente,  per le parti in cui prevedono
forme  di  autonomia  piu' ampie rispetto a quelle ad essa attribuite
dallo  Statuto  speciale  e  dalle norme di attuazione, cio' che, con
riferimento  alla  ricorrente,  potrebbe  affermarsi  con riguardo ad
alcune  materie,  tra  le  quali l'industria, la gestione delle acque
pubbliche ad uso idroelettrico, la tutela della salute, la protezione
civile,  il  governo  del  territorio  -  per  la parte eventualmente
eccedente   la   materia  urbanistica  ed  edilizia,  assegnata  alla
competenza  primaria della Regione Valle d'Aosta - sempre che codesta
ecc.ma  Corte  non  ritenga tali attribuzioni delle regioni ordinarie
meno  ampie  proprio  in  conseguenza  della  competenza  legislativa
esclusiva  dello  Stato  di  cui  alla  lettera  s) del secondo comma
dell'art. 117, non applicabile alla ricorrente.
    2.  -  Illegittimita'  costituzionale  del  decreto legislativo 3
aprile  2006  n. 152 per eccesso di delega e violazione del principio
di leale collaborazione.
    Il  decreto  legislativo  n. 152  del  2006, nella sua interezza.
oltre  che  nelle  parti  specificamente  oggetto  di censura sotto i
profili  di  seguito  indicati,  deve  essere anzitutto denunciato in
quanto  viziato  da eccesso di delega e lesivo del principio di leale
collaborazione.  Quanto  dedotto  sub 2, salva indicazione contraria,
s'intende  richiamato in ognuno dei paragrafi successivi del presente
atto,  in  aggiunta  ai  motivi  di  censura  concernenti  le singole
disposizioni specificamente impugnate.
    Le  legge  15  dicembre  2004  n. 308,  «Delega al Governo per il
riordino,  il  coordinamento  e  l'integrazione della legislazione in
materia  ambientale  e  misure  di  diretta  applicazione», delega il
Governo  «ad  adottare,  entro diciotto mesi dalla data di entrata in
vigore  della  presente legge [...] uno o piu' decreti legislativi di
riordino,    coordinamento    e   integrazione   delle   disposizioni
legislative»  nei settori ematerie di seguito elencati (art. 1, comma
1; corsivo non testuale).
    Al  successivo  comma 4, si stabilisce che «I decreti legislativi
di   cui   al   comma  1  sono  adottati  su  proposta  del  Ministro
dell'ambiente  e  della  tutela  del  territorio,  di concerto con il
Ministro  per  la funzione pubblica, con il Ministro per le politiche
comunitarie  e  con gli altri Ministri interessati, sentito il parere
della   conferenza  unificata  di  cui  all'articolo  8  del  decreto
legislativo 28 agosto 1997, n. 281» (corsivo non testuale).
    L'art. 1, comma 8, della legge di delegazione stabilisce poi, tra
l'altro, che i decreti legislativi di cui al comma 1 si conformano ai
principi  e  criteri  direttivi  generali  di seguito indicati, tra i
quali vanno ricordati specialmente quelli di cui alla lettera e), che
impone la piena e coerente attuazione delle direttive comunitarie, al
fine  di  garantire  elevati  livelli  di  tutela  dell'ambiente e di
contribuire in tale modo alla competitivita' dei sistemi territoriali
e  delle  imprese, evitando fenomeni di distorsione della concorrenza
ed  alla  lettera  m), che prevede la «riaffermazione del ruolo delle
regioni,    ai    sensi   dell'articolo   117   della   Costituzione,
nell'attuazione  dei principi e criteri direttivi ispirati anche alla
interconnessione  delle  normative  di  settore  in  un quadro, anche
procedurale, unitario» (corsivo aggiunto).
    I  limiti  di  oggetto  della  delega  ed  i  richiamati principi
risultano  violati,  in  primo  luogo, in considerazione della natura
fortemente  innovativa - ancor prima che riduttiva delle attribuzioni
regionali  - di molte delle disposizioni contenute nel d.lgs. n. 152,
tra  le  quali,  certamente,  quelle  specificamente impugnate con il
presente ricorso.
    In  secondo  luogo,  per  il  carattere lesivo delle attribuzioni
regionali,  come  delineate  dall'art. 117 della Costituzione e dalle
norme  dello,  Statuto  speciale  per la Valle d'Aosta, nonche' dalle
relative norme di attuazione, nei termini di seguito precisati.
    In   terzo   luogo,   per   la   violazione   del   principio  di
sussidiarieta',   di   seguito  dedotta  con  riguardo  alle  singole
disposizioni impugnate.
    In quarto luogo, per la contrarieta' al diritto comunitario delle
disposizioni  denunciate  sotto  i  profili  precisati  nei paragrafi
seguenti.
    Ma  la  violazione  dei  principi  e  dei  criteri  della  delega
legislativa  sui quali occorre anzitutto soffermarsi e' quella che si
combina con la grave violazione del principio di leale collaborazione
determinata  dal  procedimento  seguito per l'esercizio della delega,
non  solo  contrario  all'art. 1,  della  legge n. 308 che imponea di
sentire  il  parere  della Conferenza unificata di cui all'articolo 8
del  decreto  legislativo 28 agosto 1997, n. 281) ma altresi' viziato
dal costante attegeiamento governativo di chiusura e indifferenza per
la  richiesta,  avanzata  in  piu'  occasioni  e  in piu' sedi dalle,
regioni   e   dagli   altri   enti  territoriali,  di  una  effettiva
consultazione  e di un adeguato confronto su di un testo destinato ad
incidere ed interferire cosi' fortemente nelle attribuzioni regionali
in  considerazione della naturale pervasivita' e trasversalita' della
competenza legislativa statale in materia di tutela dell'ambiente, in
piu'  occasioni  sottolineata dalla giurisprudenza costituzionale (ex
plurimis  Corte  cost.,  sentt. nn. 407 del 2002; 222 e 307 del 2003;
62, 108, 135 e 214 del 2005).
    Ne',  ai  sensi  dell'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del
2001,  puo'  opporsi  alla  ricorrente la prevalenza della competenza
statale  di  cui  alla  lettera  dell'art. 117,  secondo comma, della
Costituzione,  risultando piuttosto in questo caso applicabile quanto
chiarito  da  codesta  ecc.ma  Corte  nella sent. n. 50 del 2005. con
riguardo  alle  ipotesi  nelle quali «puo' parlarsi di concorrenza di
competenze  e  non  di competenza ripartita o concorrente», in merito
alle  quali,  la  pronuncia  chiarisce  che  «per  la composizione di
siffatte  interferenze  la  Costituzione non prevede espressamente un
criterio  ed  e'  quindi  necessaria  l'adozione di principi diversi:
quello  di  leale collaborazione, che per la sua elasticita' consente
di aver riguardo alle peculiarita' delle singole situazioni, ma anche
quello  della  prevalenza, cui pure questa Corte ha fatto ricorso (v.
sentenza n. 370 del 2003), qualora appaia evidente l'appartenenza del
nucleo  essenziale di un complesso normativo ad una materia piuttosto
che  ad  altre»  (corsivo aggiunto). Sennonche', come si e' detto, la
prevalenza  della  competenza  ambientale  del legislatore statale ex
art.  117,  secondo  comma,  lettera  s), della Costituzione non puo'
essere  opposta  alla  Valle  d'Aosta,  titolare  -  come si e' detto
ampiamente sub 1 - di estese competenze legislative ed amministrative
costituzionalmente garantite in campo ambientale; ne', d'altro canto,
come  si  vedra',  le  disposizioni  impugnate,  anche  per  il  loro
carattere   autoapplicativo   e   di   estremo   dettaglio,   possono
considerarsi   espressive   di  principi  fondamentali,  o  di  norme
fondamentali delle riforme economico-sociali.
    Anche  in materia di tutela dell'ambiente, comunque, il principio
di  cooperazione  ha  assunto  un  ruolo del tutto decisivo, sia, per
cosi'  dire,  a  monte,  in  sede  di  elaborazione  della disciplina
legislativa da parte dello Stato, sia nella fase applicativa. Come ha
chiarito codesta ecc.ma Corte nella sent. n. 62 del 2005, «quando gli
interventi  dello  Stato,  in  vista  di  interessi unitari di tutela
ambientale,  concernono  l'uso  del  territorio, ed in particolare la
realizzazione  di opere e di insediamenti atti a condizionare in modo
rilevante  lo stato e lo sviluppo di singole aree, l'intreccio, da un
lato,  con  la competenza regionale concorrente in materia di governo
del  territorio, oltre che con altre competenze regionali, dall'altro
lato  con  gli  interessi  delle popolazioni insediate nei rispettivi
territori,  impone  che  siano adottate modalita' di attuazione degli
interventi medesimi che coinvolgano le regioni sul cui territorio gli
interventi sono destinati a realizzarsi».
    Dal  verbale  n. 13/05  della Conferenza Unificata, relativo alla
seduta  del  15 dicembre 2005 - punto 25 dell'ordine del giorno (doc.
2) - risulta in modo inconfutabile l'arbitrario rifiuto di rinvio del
parere  sullo  schema di decreto legislativo recante norme in materia
ambientale  ai  sensi  dell'art. 1,  comma 4, della legge 15 dicembre
2004,  n. 308,  richiesto  a  nome della Conferenza delle Regioni dal
Presidente  Errani  «per  consentire  tutti  gli  idonei  e necessari
approfondimenti» (p. 29), sino a quel momento preclusi dalla brevita'
dell'intervallo  tra  la  trasmissione  del testo e la riunione della
Conferenza.  Il  rigetto  della  proposta di rinvio da parte del vice
Ministro Nucara appare del tutto ingiustificato, anche perche' basato
sul  grave  equivoco  di  ritenere  erroneamente  che  «la  legge  di
delegazione,  approvata  il  15  dicembre  2004, e' in scadenza nella
giornata  odierna»  (p.  30), anziche' come viene fatto osservare nel
corso della riunione, l'11 giugno 2006 (p. 35).
    Dal verbale risulta altresi' che «Il Presidente Errani rivolge un
appello  accorato al Governo, con il quale fa presente che la materia
in  argomento  e'  molto  complessa,  e  che  non  attiene  solo alle
questioni  ambientali,  ma  anche  alla difesa del suolo, e ad altro.
Specifica   infatti   che   si  tratta  di  una  serie  di  politiche
fondamentali  che  incrociano  in  modo  forte, tutta l'articolazione
legislativa  delIe  regioni  e le politiche amministrative degli Enti
locali  e  che  i  tempi non sono stati assolutamente sufficienti per
valutare  il  materiale  tecnico,  atteso che gli allegati sono stati
trasmessi il 7 dicembre» (p. 31; corsivo aggiunto).
    La  grave  anomalia  del comportamento del Governo, attraverso il
rappresentante  del Ministero dell'ambiente, trova ulteriore conferma
nell'insistenza   del   vice  Ministro,  il  quale  replica  che  «le
contestazioni  della  Conferenza  alla  legge  delega  presentano due
aspetti  di  ordine  generale,  che  il  Governo ritiene di non dover
accogliere,  poiche'  nel caso contrario, si andrebbe oltre i termini
imposti dalla legge di delega» (p. 31).
    Ma  l'equivoco  sulla  scadenza del termine per l'esercizio della
delega   si   associa   ad   una  non  meno  grave  ed  inaccettabile
interpretazione   del   principio   di  leale  cooperazione  e  della
necessita' - imposta sia dall'art. 1, comma 4, della legge di delega,
sia  dagli  artt. 2,  comma  3,  e  8 del d.lgs. n. 281 del 1997 - di
acquisire  il  parere  della Conferenza Unificata. Tale necessita' e'
infatti  intesa  dal  rappresentante  del Governo come un adempimento
meramente formale, che dovrebbe ritenersi soddisfatto con la semplice
trasmissione   dello  schema  di  provvedimento  e  l'iscrizione  del
relativo parere all'ordine del giorno di una qualsiasi riunione della
Conferenza,   senza   necessita'  alcuna  di  assicurare  l'effettiva
conoscenza  da  parte  delle  regioni  del  provvedimento oggetto del
parere e la possibilita' di una formulazione in tempi ragionevoli del
parere  medesimo,  vista l'ampiezza del testo in esame, richiesto dal
principio  di leale collaborazione, dalla legge di delega, dal d.lgs.
n. 281 del 1997, il quale all'art. 2, comma 3, prevede l'obbligatoria
consultazione  della  Conferenza Stato-regioni «in ordine agli schemi
di  disegni  di  legge  e di decreto legislativo o di regolamento del
Governo  nelle  materie  di competenza delle regioni o delle Province
autonome  di Trento e di Bolzano che si pronunzia entro venti giorni;
decorso tale termine, i provvedimenti recanti attuazione di direttive
coniunitarie  sono  emanati  anche in mancanza di detto parere. Resta
fermo  quanto previsto in ordine alle procedure di approvazione delle
norme  di attuazione degli statuti delle regioni a statuto speciale e
delle province autonome di Trento e di Bolzano» (enfasi aggiunta).
    Con  riguardo al citato art. 2, comma 3, d.lgs. n. 281 necessaria
garanzia   ed   attuazione   legislativa   del   principio  di  leale
collaborazione  nella  sent.  n. 272 del 2005 codesta ecc.ma Corte ha
dichiarato  l'infondatezza  di  una questione di costituzionalita' di
taluni decreti legge e delle relative leggi di conversione, sollevata
(anche)   in   riferimento  all'evocato  principio  di  cooperazione,
chiarendo  che  «l'art. 2,  comma 3, del d.lgs. n. 281 del 1997, pure
richiamato  dalla  ricorrente, prevede obbligatoriamente l'intervento
consultivo  della Conferenza Stato-regioni in sede di predisposizione
dei disegni di legge governativi e dei decreti legislativi, non anche
in  quella  dei  decreti-legge e dunque anche delle relative leggi di
conversione;   salvo   quanto  previsto  dal  comma  5  per  la  c.d.
"consultazione  successiva"»  (corsivo  non  testuale;  nel  medesimo
senso,  la precedente sent. n. 196 del 2004, punto 27 del Considerato
in  diritto).  Ne',  certo,  si  puo'  nel presente caso eludere tale
fondamentale  disciplina  assumendo  l'esclusiva  competenza  statale
nella  materia  in oggetto, giacche' il decreto legislativo impugnato
investe,  nel modo piu' incisivo, numerose attribuzioni legislative e
amministrative  regionali.  L'interpretazione  minimale  e  riduttiva
dell'adempimento   in   discorso  da  parte  del  rappresentante  del
Ministero  dell'ambiente,  del  tutto inaccettabile e tale da viziare
irrimediabilmente il procedimento di adozione del decreto legislativo
impugnato,  e'  documentata  anche  dai seguenti passaggi del verbale
n. 13/05 del 15 dicembre 2005: «Il Vice Ministro Nucara chiarisce che
i  rapporti  istituzionali  prescindono  dai rapporti politici, e che
comunque  lui e' sempre attento e rispettoso soprattutto dei rapporti
istituzionali,   ma  che  la  legge  delega  scade  e  che  pertanto,
nonostante  ritenga  giusto instaurare dei rapporti di collaborazione
fattiva,  in modo da trovare soluzioni vantaggiose per tutti, ritiene
veramente  difficile  poter  accedere  alla  richiesta di ricevere un
parere,  positivo  o  negativo  che sia, in una Conferenza che potra'
essere  tenuta  a  meta'  gennaio;  specifica che come detto la legge
delega scade nella giornata odierna» (pp. 32 s.).
    Di  analogo  tenore  quanto  successivamente  aggiunto  dal  Vice
Ministro,  il  quale  ha  fatto presente «che il Presidente Errani ha
specificato   che   la  Commissione  [parlamentare],  nella  giornata
odierna, ha dichiarato che senza il parere della Conferenza Unificata
non  si  puo'  procedere,  e che quindi siccome nella legge delega e'
previsto  che  debba  essere sentita la Conferenza unificata, ritiene
che  si possa procedere. Dichiara di non aver necessita' di un parere
vincolante e riconferma quanto detto in precedenza» (p. 38).
    Dal verbale risulta che il Ministro La Loggia «conclude prendendo
atto  del  mancato  parere»  (p.  38).  In  effetti,  da quanto sopra
riportato  risulta  soprattutto  la  circostanza inoppugnabile che le
regioni  non  sono state messe nella condizione di poter esprimere il
previsto  parere  e  l'incompatibilita'  con  il  principio  di leale
collaborazione  dell'atteggiamento  assunto  dal  rappresentante  del
Ministero dell'ambiente.
    Che   il   Governo   ritenesse   completato  l'iter  del  decreto
indipendentemente  dalla  necessaria  acquisizione  del  parere della
Conferenza   unificata  risulta  anche  dal  comunicato  relativo  al
Consiglio  dei ministri n. 40 del 19 gennaio 2006 (doc. 3), nel quale
si  afferma  che il Consiglio dei Ministri ha approvato uno schema di
decreto  legislativo  che da' attuazione ad un'ampia delega conferita
al   Governo  dalla  legge  n. 308  del  2004  per  il  riordino,  il
coordinamento   e   l'integrazione   della  legislazione  in  materia
ambientale  [...]; il Governo, valutati i preliminari pareri espressi
dalle  Commissioni parlamentari, inviera' nuovamente ad esse il testo
per  il  completamento  dell'iter istruttorio previsto dalla legge di
delegazione».  Come si vede, nel comunicato non si fa cenno alcuno al
necessario  parere della Conferenza unificata, ritenendosi definitiva
la deliberazione in data 19 gennaio 2006.
    Ne'  d'altro  canto, la dedotta violazione del principio di leale
cooperazione  e della legge di delega puo' ritenersi in qualche senso
sanata  dalla  presa  d'atto,  in sede di Conferenza unificata, nella
seduta   del   26   gennaio  2006,  dell'ordine  del  giorno  di  cui
all'Allegato  sub  A)  recante  un  parere  negativo  sullo schema di
decreto  legislativo  recante  norme  in  materia ambientale espresso
dalla Conferenza delle regioni e delle Province autonome in pari data
(doc.  4),  il  quale,  si  noti,  non era inserito tra gli argomenti
all'ordine  del  giorno della Conferenza Unificata nella riunione del
26  gennaio  2006,  come risulta dal Verbale n. 1/06 (doc. 5), ma tra
gli  argomenti  proposti  nel  corso  della  seduta (p. 11 del citato
verbale).
    Nel  parere  negativo  del  26  gennaio  2006  le  regioni  hanno
lamentato,  tra l'altro, che l'approvazione in Consiglio dei ministri
il  19  gennaio  2006  «rompe di fatto l'accordo firmato il 4 ottobre
2001  fra il Ministro Matteoli, le regioni, l'A.N.C.I. e l'U.P.l. nel
quale   le  parti  avevano  concordato  di  "operare  pariteticamente
nell'elaborazione  legislativa  [...]"»  e  che «l'approvazione dello
schema  di decreto si configura come un atto unilaterale del Governo,
che  viola  il principio di leale collaborazione tra le istituzioni e
costituisce  una  scelta  centralistica»  (p.  1), in modo tanto piu'
grave  in  quanto  si  versa  in  un  ambito  -  quello  della tutela
dell'ambiente   -   non  riducibile  ad  una  materia  di  competenza
legislativa   statale,   trattandosi   piuttosto   di   un  «"valore"
costituzionalmente  protetto.  che, in quanto tale, delinea una sorta
di  materia  "trasversale",  in  ordine  alla  quale  si  manifestano
competenze  diverse, che ben possono essere regionali, spettando allo
Stato  le  determinazioni  che  rispondono  ad esigenze meritevoli di
disciplina  uniforme  sull'intero territorio nazionale» (Corte cost.,
sent.  n. 407  del  2002;  ma  non  pare  inutile  ricordare  la piu'
risalente sent. n. 183 del 1987, gia' citata).
    Il  decreto  legislativo  veniva  poi  nuovamente  approvato  dal
Consiglio  dei ministri, in data 10 febbraio 2006, senza peraltro che
risulti in alcun modo una considerazione delle osservazioni formulate
dalle  regioni,  cio'  che  del resto trova conferma nella successiva
richiesta  di  chiarimenti  da parte del Presidente della Repubblica,
che aveva ricevuto il testo per l'emanazione.
    Il decreto legislativo e' stato poi riapprovato dal Consiglio dei
ministri  il 29 marzo 2006 in una versione parzialmente modificata ed
emanato successivamente in una versione non del tutto coincidente con
quella  trasmessa  alle  Commissioni  parlamentari  e alla Conferenza
unificata,  cio'  che  evidentemente  determina  un  ulteriore  vizio
formale  dell'impugnato  decreto.  Quanto  precede  -  in ordine alla
violazione del principio di leale cooperazione, del d.lgs. n. 281 del
1997  e  della  previsione  della  legge di delegazione relativa alla
necessaria  acquisizione  del  parere  della  Conferenza  unificata -
costituisce  motivo  di  impugnazione del decreto legislativo, quanto
meno  nelle  parti  specificamente denunciate nel seguito, e pertanto
integra  i  profili  di  censura  relativi  a  tutte  le disposizioni
impugnate,  che  si  appalesano  incostituzionali,  oltre  che per la
violazione  dei  parametri  di  seguito  indicati, per violazione del
principio  di  cooperazione  (anche  nell'attuazione  ricevuta  dagli
artt. 2.  comma  3,  8  e  9,  comma 2, del d.lgs. n. 281 del 1997) e
dell'art. 76  Cost.,  in  relazione  all'art. 1, comma 4, della legge
n. 308 del 2004.
    3.  - Illegittimita' costituzionale dell'art. 6 del d.lgs. n. 152
del  2006,  per  violazione  delle  attribuzioni costituzionali della
ricorrente  in materia ambientale, degli artt. 11 e 117, primo comma,
Cost.,  del principio di leale collaborazione, nonche' per eccesso di
delega.
    L'art.  6 del d.lgs. n. 152 del 2006 prevede l'istituzione presso
il  Ministero  dell'ambiente  e  della  tutela  del  territorio - con
decreto  del  Presidente  del Consiglio dei Ministri, su proposta del
Ministro  dell'ambiente  e  della  tutela  del  territorio  -  di una
Commissione  tecnico-consultiva  per  le  valutazioni  ambientali. La
Commissione,  tra  l'altro  provvede all'istruttoria e si esprime sui
rapporti  ambientali  e  sugli studi di impatto ambientale relativi a
piani  e  programmi  oppure  a  progetti rispettivamente sottoposti a
valutazione   ambientale  strategica  ed  a  valutazione  di  impatto
ambientale  di  competenza  statale,  e  si  esprime  altresi'  sulle
autorizzazioni  integrate  ambientali di competenza statale» (art. 6,
comma 2).
    Sebbene,  in  base  al  tenore  del  citato  comma  2, chiamata a
pronunciarsi  nell'ambito  di  procedimenti di competenza statale, la
composizione   dell'organo  non  e'  rispettosa  del  ruolo  e  delle
attribuzioni delle regioni, che a tali procedimenti non possono certo
ritenersi estranee.
    In   particolare,   non   e'   idonea   la   composizione   delle
sottocommissioni   prevista   per   l'esame   dei  provvedimenti  che
coinvolgano   «specifici   interessi  regionali».  In  tali  ipotesi,
l'art. 6,   comma   6  del  decreto  legislativo  stabilisce  che  la
sottocommissione  sia  integrata  da un esperto designato da ciascuna
Regione  interessata: «In ragione degli specifici interessi regionali
coinvolti  dall'esercizio di una attivita' soggetta alle norme di cui
alla parte seconda del presente decreto, la relativa sottocommissione
e'   integrata  dall'esperto  designato  da  ciascuna  delle  regioni
direttamente interessate per territorio dall'attivita».
    Tale disposizione, anzitutto per la forte disparita' numerica tra
i  rappresentanti  designati  rispettivamente  dallo  Stato  e  dalle
regioni,   non   pare   garantire  in  modo  adeguato  il  necessario
coordinamento  tra  i  vari  livelli  territoriali  dell'ordinamento.
Inoltre,   del   tutto   indefinito   rimane   il   ruolo   specifico
dell'«esperto»  regionaIe,  ne'  e'  specificato  se  egli sia o meno
membro  a  tutti  gli  effetti  della sottocommissione. L'articolo 6,
comma   8,   del   resto,  a  riprova  dell'estrema  debolezza  della
partecipazione  regionale all'organo di cui si tratta, stabilisce che
la  sottocommissione puo' comunque procedere anche in assenza di tale
esperto,  qualora  la  regione  interessata  non  abbia  proveduto  a
designarlo  (in  attuazione  dell'art. 49, comma 3, a norma del quale
«ciascuna   regione   e  provincia  autonoma  comunica  al  Ministero
dell'ambiente  e  della  tutela  del  territorio il proprio elenco di
esperti  di  cui  all'articolo 6, comma 6, con l'ordine di turnazione
secondo  il  quale,  all'occorrenza,  dovranno  essere  convocati  in
sottocommissione)».
    La denunciata disciplina statale e' pertanto inidonea a garantire
che  le decisioni adottate in esito ai procedimenti di cui si tratta,
destinate   ad   incidere   spesso  pesantemente  nella  sfera  delle
attribuzioni  e  degli  interessi  regionali,  siano  assunte  con un
adeguato coinvolgimento delle regioni interessate, in applicazione di
un  principio  affermato  in  termini  del tutto espliciti da codesta
ecc.ma Corte, in materia di VIA relativa alle opere di cui alla legge
n. 443 del 2001 (la cosidetta «Legge obiettivo»).
    La  sentenza  n. 303/2003  ha infatti dichiarato l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 19, comma 2, d.lgs. n. 190/2002, nella parte
in   cui,   per  le  infrastrutture  e  gli  insediamenti  produttivi
strategici, per i quali sia stato riconosciuto, in sede di intesa, un
concorrente  interesse  regionale,  non  prevede  che  la commissione
speciale  per  la  valutazione  di  in  impatto  ambientale (VIA) sia
integrata  da  componenti designati dalle regioni o province autonome
interessate (corsivo non testuale).
    La   disciplina   della  Commissione  tecnico-consultiva  per  le
valutazioni  ambientali,  destinata a prendere il posto, tra l'altro,
della  predetta  commissione  speciale  per la valutazione di impatto
ambientale,  non  puo'  pertanto ritenersi corrispondente ai principi
enunciati   dalla   Corte   costituzionale,  il  rispetto  dei  quali
richiederebbe  la designazione da parte dalla Regione interessata non
gia'  di un soggetto genericamente qualificato come «esperto», bensi'
di   componenti   a   pieno   titolo   collocati,  nell'ambito  della
sottocommissione, in posizione pariordinata ai membri di designazione
statale, effettivamente in grado di rappresentare in modo adeguato il
punto   di   vista   della   regione   interessata  dall'attivita'  o
dall'intervento sottoposti a valutazione ambientale.
    Si  tratta  insomma, nel caso dell'impugnato art. 6, di una forma
di  partecipazione  regionale  non  necessaria, ne' garantita, la cui
efficacia  dipende  dalla  decisione insindacabile del vicepresidente
competente,  come  risulta  dal  comma  5  («La Commissione opera, di
norma,   attraverso   sottocommissioni.   Le  sottocominissioni  sono
composte  da  un  numero  variabile  di  componenti  in ragione delle
professionalita'  necessarie  per il completo ed adeguato esame della
specifica pratica. L'individuazione delle professionalita' necessarie
spetta  al vicepresidente competente. Una volta individuate le figure
professionali    dei    componenti    e    del   coordinatore   della
sottocommissione,   i   singoli   commissari   sono   assegnati  alle
sottocommissioni  sulla  base di un predefinito ordine di turnazione»
(corsivo aggiunto).
    Anche  i  successivi  commi  7  («Ai  fini  di cui al comma 6, le
amministrazioni  regionali  direttamente  interessate  per territorio
segnalano al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio il
proprio  interesse»)  comma  8 («Qualora le amministrazioni di cui al
comma  7  non  abbiano provveduto alla designazione degli esperti, la
sottocommissione e' costituita nella composizione ordinaria e procede
comunque  all'istruttoria  affidatale, ferma restando la possibilita'
di successiva integrazione della sua composizione, nel rispetto dello
stadio di elaborazione e delle eventuali conclusioni parziali cui sia
gia' pervenuta») confermano l'opzione del legislatore statale per una
partecipazione  regionale  solo eventuale, debole, non garantita, che
rende costituzionalmente illegittimo l'intero art. 6.
    La  disciplina  concernente la Commissione tecnico-consultiva per
le  valutazioni  ambientali  e  l'indifferenza  per  le  esigenze  di
adeguato  ed  effettivo coinvolgimento delle regioni nei procedimenti
suscettibili   di   investire   aspetti   di  pertinenza  degli  enti
territoriali,  che  essa sottintende, rende carente anche la connessa
disciplina di cui al Capo II del Titolo III della Parte II del d.lgs.
n. 152,  contenente  disposizioni  specifiche  per  la  VAS  in  sede
statale,   nella   parte  in  cui  richiama  la  Commissione  di  cui
all'art. 6,  e  cio' in contrasto con quanto previsto dalla direttiva
2001/42/CE  del  Parlamento  europeo  e  del Consiglio, del 27 giugno
2001, concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e
programmi  sull'ambiente, con conseguente violazione degli artt. 11 e
117, primo comma, della Costituzione.
    L'art. 6  della citata direttiva stabilisce infatti, al paragrafo
2  che  «le  autorita'  di cui al paragrafo 3 e il pubblico di cui al
paragrafo   4   devono   disporre   tempestivamente  di  un'effettiva
opportunita'  di esprimere in termini congrui il proprio parere sulla
proposta  di  piano  o  di programma e sul rapporto ambientale che la
accompagna,   prima   dell'adozione  del  piano  o  del  programma  o
dell'avvio della relativa procedura legislativa» (enfasi aggiunta) e,
al  successivo  par.  3, che «gli Stati membri designano le autorita'
che devono essere consultate e che, per le loro specifiche competenze
ambientali,  possono  essere  interessate  agli effetti sull'ambiente
dovuti  all'applicazione  dei  piani  e  dei programmi» Al par. 5, il
richiamato  art.  6 impone infine agli Stati membri di determinare le
specifiche  modalita'  per  l'informazione  e  la consultazione delle
autorita' e del pubblico».
    4.  -  Illegittimita'  costituzionale  degli  artt. 4,  comma  1,
lettera  a)  n. 3,  7,  comma  3, 10, 12, comma 2, 16 e 68 del d.lgs.
n. 152 del 2006, in materia di Valutazione Ambientale Strategica, per
violazione  delle attribuzioni della ricorrente in materia ambientale
ed  in  materie connesse; degli artt. 11 e 117, primo e quinto comma,
Cost.;  del  principio  di  leale collaborazione; degli artt. 76 e 97
Cost.
    Per  quanto concerne la Valutazione Ambientale Strategica, appare
anzitutto   lesiva   delle   attribuzioni   regionali  la  previsione
dell'art. 7,  comma  3,  in  base alla quale sono sottoposti a VAS «i
piani  e i programmi, diversi da quelli di cui al comma 2, contenenti
la   definizione   del  quadro  di  riferimento  per  l'approvazione,
l'autorizzazione,    l'area   di   localizzazione   o   comunque   la
realizzazione  di opere ed interventi i cui progetti, pur non essendo
sottoposti  a valutazione di impatto ambientale in base alle presenti
norme,  possono  tuttavia avere effetti significativi sull'ambiente e
sul   patrimonio   culturale,   a   giudizio  della  sottocommissione
competente per la valutazione ambientale strategica».
    Sarebbe,  pertanto,  il  livello  statale  a  stabilire  in  modo
insindacabile  quali  piani  -  ivi compresi quelli regionali e degli
enti locali - siano da sottoporre a VAS, con conseguente compressione
delle  attribuzioni  legislative ed amministrative regionali. D'altro
canto,  che tale disciplina si applichi alle regioni ed alle province
autonome  trova  conferma nella collocazione topografica del medesimo
art.  7,  inserito nel Capo I, «Disposizioni comuni in materia di VAS
ed  altresi  negli  artt. 21 e 22, il cui comma 1 («Ferme restando le
disposizioni di cui agli articoli 4, 5, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13 e 14,
le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano disciplinano
con  proprie  leggi  e  regolamenti  le  procedure per la valutazione
ambientale  strategica  dei piani e programmi di cui all'articolo 21»
corsivo  non  testuale)  ben documenta l'effetto di svuotamento della
competenza  legislativa  regionale  nella  materia  ambientale  ed in
quelle connesse, sotto specificate.
    In  proposito,  non  puo'  non  condividersi  quanto espresso nel
parere in data 26 gennaio 2006 della Conferenza delle regioni e delle
province  autonome,  nel  quale  si  osserva che «tale giudizio della
sottocommissione  vale non solo per i piani e i programmi statali, ma
anche  per  quelli  regionali  e  degli  enti locali, configurando un
indebito  trasferimento  di  competenze e delineando una modalita' di
funzionamento    sicuramente    poco    efficiente,    ma   altamente
centralizzante e gerarchizzante». La disposizione censurata introduce
elementi di ulteriore incertezza in ordine al ruolo della Commissione
tecnico-consultiva  per  le valutazioni ambientali, la quale, in base
all'art. 6,   comma  2  parrebbe  (anche  se  il  contesto  normativo
complessivo   rende   ambigua  la  disciplina  dell'organo)  riferire
l'attivita' della stessa a procedimenti di competenza statale.
    In  ogni  caso,  si  tratta di una disciplina non suscettibile di
esprimere norme fondamentali di riforma o principi fondamentali - tra
i quali non si puo' certo annoverare una disposizione legislativa che
rinvia    ad    un    potere    amministrativo   insindacabile,   per
l'individuazione  dei  piani  e  dei  programmi da sottoporre a VAS -
lesiva   delle   attribuzioni   regionali   in   materia   di  tutela
dell'ambiente,  non  comprimibili,  nel  caso della ricorrente, sulla
scorta  dell'art. 117,  secondo  comma,  lettera  s),  Cost., che nel
presente caso non puo' trovare applicazione, secondo quanto stabilito
dall'art. 10, legge cost. n. 3 del 2001.
    E'  altresi'  evidente  il  mancato  rispetto del principio posto
dalla gia' citata sentenza n. 303 del 2003, ed anche nelle successive
n. 6  del  2004,  383  del  2005  e  214  del 2006 (spec. punto 4 del
Considerato  in diritto), in base al quale l'attrazione di competenze
amministrative  a  livello  centrale,  unitamente  all'esercizio  dei
poteri legislativi necessari a disciplinarne il corretto utilizzo pur
in  materie di competenza regionale, e' consentito - nel rispetto dei
principi  di  sussidiarieta'  differenziazione  ed adeguatezza - solo
previo esperimento di procedure di intesa con le regioni interessate,
e   comunque   in  un  quadro  adeguato  di  garanzie  procedurali  e
cooperative,   cio'   che  appare  irrinunciabile  a  garanzia  delle
attribuzioni costituzionalmente garantite della ricorrente.
    Infatti,  non  solo  e'  indiscussa la potesta' legislativa della
Valle  d'Aosta  in  materia  di  tutela dell'ambiente, ma altrettanto
incontestabile  e' che l'attivita' di pianificazione e programmazione
dell'uso  del  territorio  rientra  nella materia «urbanistica, piani
regolatori  per zone di particolare importanza turistica» e coinvolge
competenze  riguardanti  le  «strade  e  lavori pubblici di interesse
regionale»   nonche'  -  per  quanto  concerne  la  valutazione  piu'
strettamente  ambientale - l'«agricoltura e foreste, zootecnia, flora
e  fauna». Tali materie, a norma dell'articolo 2, lettere a), f) e g)
dello  Statuto  speciale  per la regione Valle d'Aosta, approvato con
legge  costituzionale  n. 4 del 26 febbraio 1948, sono assegnate alla
potesta'  legislativa  esclusiva,  o  primaria, della ricorrente, che
risulta cosi' lesa dalle disposizioni denunciate.
    Sempre  relativamente  alla  VAS, l'art. 12, comma 2, del decreto
legislativo   impugnato  introduce  un  drastico  potere  sostitutivo
statale  qualora l'autorita' preposta alla valutazione ambientale non
si esprima entro 60 giorni.
    A tale riguardo, il Consiglio dei ministri e' autorizzato, previa
diffida  ed  assegnazione  di  un  ulteriore termine di 20 giorni, ad
esercitare  il  potere  sostitutivo.  Tale  norma  si  applica,  fino
all'emanazione della normativa regionale in materia, anche per le VAS
di competenza regionale.
    La  lesione  delle competenze regionali deriva specialmente dalla
previsione  in  base alla quale, ove il Consiglio dei ministri non si
pronunci,  si  intende emesso parere negativo («L'inutile decorso del
termine  di  cui  al  presente  comma  implica l'esercizio del potere
sostituivo  da  parte  del Consiglio dei ministri, che provvede entro
sessanta  giorni,  previa  diffida all'organo competente ad adempiere
entro  il  termine  di  venti  giorni,  anche  su istanza delle parti
interessate.  In  difetto,  per  i  piani  e i programmi sottoposti a
valutazione  ambientale  in  sede statale, si intende emesso giudizio
negativo  sulla  compatihiiita'  ambientale  del  piano  o  programma
presentato.  Per  i  piani  e  i  programmi  sottoposti a valutazione
ambientale  in  sede non statale, si applicano le disposizioni di cui
al  periodo  precedente  fino all'entrata in vigore di apposite norme
regionali  e delle province autonome, da adottarsi nel rispetto della
disciplina comunitaria vigente in materia» [corsivo aggiunto]).
    Anche   in  merito  a  tale  disposizione  va  riproposto  quanto
osservato nel gia' citato parere del 26 gennaio 2006 della Conferenza
delle  regioni  e  delle  province  autonome,  nel quale si legge che
l'art. 12,  comma  2,  «implica  il  rischio  che  numerosi  piani  e
programmi  abbiano  un giudizio negativo di compatibilita' ambientale
solo  a  causa  della  scadenza  dei  termini,  con  conseguente  non
approvazione del piano o del programma», con grave compromissione del
principio  di  buon  andamento  della pubb1ica amministrazione di cui
all'art. 97  Cost.,  ma  anche  con  palese  violazione  dell'art. 2,
lettera  g),  dello Statuto regionale, in base al quale l'urbanistica
e' materia di competenza esclusiva regionale.
    Ancora  in  materia  di  VAS  e'  ravvisabile  una violazione dei
principi  di  cui alla direttiva comunitaria 2001/42/CE, in base alla
quale  (art. 4)  la  valutazione  ambientale  «deve essere effettuata
durante   la   fase   preparatoria  del  piano  o  del  programma  ed
anteriormente  alla sua adozione o all'avvio della relativa procedura
legislativa» (corsivo aggiunto).
    Gli  articoli  10  e  16  del  decreto stabiliscono invece che la
valutazione  venga  effettuata  prima dell'approvazione, quando ormai
l'elaborazione  del piano e' giunta nel suo stadio finale, impedendo,
cosi',  ai  soggetti pubblici e privati che hanno diritto di prendere
parte  all'iter  di  approvazione del piano, di effettuare le proprie
valutazioni  anche  sulla base della valutazione ambientale del piano
medesimo espressa dall'autorita' competente.
    Peraltro,  il  principio della partecipazione ed informazione del
pubblico  rispetto  al  procedimento  di  approvazione  dei  piani e'
imposto anche dall'art. 6, par. 1, della direttiva comunitaria citata
(«La  proposta  di  piano  o  di  programma ed il rapporto ambientale
redatto  a  norma  dell'articolo 5 devono essere messi a disposizione
delle  autorita'  di  cui  al paragrafo 3 del presente articolo e del
pubblico)».
    Come  si vede, tale principio, impone che «la proposta di piano o
di  programma  ed  il rapporto ambientale» siano messi a disposizione
del  pubblico.  Esso  e' pertanto violato anche dalle disposizioni di
cui  agli  articoli  10, comma 2, e 16, comma 2 del d.lgs. n. 152 del
2006,  che  prevedono  esclusivamente  il deposito di una sintesi non
tecnica  presso  gli  uffici delle province e regioni interessate dal
piano.  Almeno  la  prima  delle due disposizioni citate, applicabile
anche  ai  procedimenti a livello regionale e locale, e' lesiva delle
attribuzioni  regionali  in materia ambientale precisate sopra sub 1,
oltre   che   delle   competenze   relative  alle  materie  ulteriori
trasversalmente    interessate   dalle   procedure   di   valutazione
ambientale.
    Il  medesimo  principio comunitario di pubblicita' appare violato
anche  dall'art. 10,  comma  3,  del  decreto  legislativo,  il quale
stabilisce  che  la pubblicazione totale o parziale delle proposte di
piano  sulla  rete  telematica  avvenga solo nei casi stabiliti da un
regolamento  ministeriale;  oltre  che  dagli  artt. 16, comma 4, 19,
comma  2,  e  20,  comma  3,  del decreto, in base ai quali, anche su
istanza  del  proponente, sarebbe possibile semplificare le modalita'
di pubblicazione del piano.
    Almeno   nel   caso  delle  disposizioni  inserite  nel  Capo  I,
«Disposizioni  comuni  in  materia di VAS», la violazione del diritto
comunitario e degli artt. 11 e 117, primo comma. Cost., si traduce in
una  lesione  delle  attribuzioni  regionali  in  materia  di  tutela
dell'ambiente,  ed  altresi'  della  competenza  regionale  in ordine
all'attuazione  delle  direttive  comunitarie,  di  cui all'art. 117,
quinto comma, della Costituzione.
    Una violazione delle competenze regionali esclusive in materia di
pianificazione   urbanistica  deriva  poi  dalla  previsione  di  cui
all'art. 10, comma 5, del decreto legislativo impugnato, in base alla
quale  le  forme  di  pubblicita'  previste  dalla procedura di VAS -
peraltro  frammentarie  ed  incomplete  -  sostituiscono  a tutti gli
effetti  tutte le altre forme di pubblicita' dei piani previste dalle
ordinarie  procedure  di  approvazione.  Tali  procedure,  essendo di
competenza  esclusiva  regionale, non possono che essere disciplinate
con  legge  regionale  anche  per  quel  che  concerne  le  forme  di
pubblicita'.
    Una   violazione  dei  principi  comunitari  deriva  anche  dalla
previsione  di  cui  all'art. 68  del  decreto legislativo n. 152 del
2006,  in  base  al quale i progetti dei piani stralcio per la tutela
dal  rischio  idrogeologico  non sono sottoposti a VAS, quando invece
l'art. 3, paragrafo 2, lettera a) della direttiva 2001/42/CE, prevede
espressamente  che siano sottoposti a valutazione ambientale «tutti i
piani  e  i  programmi  che  sono  elaborati  per i settori agricolo,
forestale  della pesca, energetico, industriale, dei trasporti, della
gestione dei rifiuti e delle acque, delle telecomunicazioni turistico
della  pianificazione  territoriale o della destinazione dei suoli, e
che  definiscono  il  quadro  di riferimento per l'autorizzazione dei
progetti  elencati  negli allegati I e II della direttiva 85/337/CEE»
(corsivo non testuale).
    L'art. 3 della direttiva comunitaria 2001/42/CE risulta disatteso
anche nella parte in cui (par. 1) assoggetta a valutazione ambientale
i  piani  e  i  programmi  che  possono  avere  effetti significativi
sull'ambiente.  Tale  norma  comunitaria  sottrae  all'obbligo  della
valutazione  ambientale esclusivamente i piani «che determinano l'uso
di  piccole aree a livello locale» (art. 3, par. 3). In contrasto con
tale  previsione,  l'art. 4,  comma  1,  lettera a), n. 3 del decreto
legislativo   n. 152   stabilisce   che  la  normativa  in  esame  ha
l'obiettivo  di  «promuovere  l'utilizzo della valutazione ambientale
nella  stesura  dei  piani  e  dei  programmi  statali,  regionali  e
sovracomunali».
    A  questo  riguardo,  non  si puo' non considerare che sussistono
aree  urbane  eccedenti la definizione comunitaria di «piccole aree a
livello  locale»  la  cui  pianificazione,  pur  non  rientrando  nel
concetto    di   «pianificazione   sovracomunale»   puo'   avere   un
significativo impatto sull'ambiente.
    Sul  piano  della tecnica legislativa - ma anche sotto il profilo
degli elementi di incertezza che si introducono nei rapporti tra enti
- va altresi' rilevato che la disposizione censurata da ultimo mal si
coordina  con  la  definizione di cui all'art. 5, comma 1, lettera d)
del medesimo d.lgs. n. 152, a norma del quale per «piani e programmi»
s'intendono  «tutti  gli  atti e provvedimenti di pianificazione e di
programmazione   comunque   denominati   previsti   da   disposizioni
legislative,  regolamentari  o amministrative adottati o approvati da
autorita' statali, regionali o locali» (corsivo aggiunto).
    L'evidenziata  lesione  delle  attribuzioni  regionali  determina
altresi'  la violazione dell'art. 76 della Costituzione, in relazione
all'art. 1,  comma 8, della legge n. 308 del 2004, nella parte in cui
impone al legislatore delegato il rispetto dei principi e delle norme
comunitarie, delle attribuzioni delle regioni ed in particolare delle
norme statutarie e delle relative norme di attuazione delle regioni a
statuto speciale, del principio di sussidiarieta'.
    5.  -  Illegittimita' costituzionale degli artt. 23, comma 4, 25,
31,  commi  1  e  2,  e  33 del d.lgs. n. 152 del 2006, in materia di
Valutazione   di  impatto  ambientale  (VIA),  per  violazione  delle
attribuzioni  della  ricorrente in materia ambientale e nelle materie
connesse;  degli  artt. 11  e  117,  primo e quinto comma, Cost.; del
principio di leale collaborazione; dell'art. 76 Cost.
    Relativamente  alla  valutazione  di  impatto ambientale, occorre
premettere  che  dalle  stesse  finalita'  della  medesima risulta la
particolare  attitudine  lesiva  della  disciplina  statale,  ove non
attentamente  calibrata  e coordinata con le molteplici prerogative e
competenze regionali coinvolte.
    L'art. 24   del  d.lgs.  n. 152  stabilisce  infatti  in  termini
notevolmente  ampi  e  «trasversali»  le  finalita' della VIA, la cui
disciplina  presenta  una  vis attrattiva di competenze regionali che
non  puo'  che  essere  oggetto  di  uno scrutinio stretto in sede di
giudizio di costituzionalita'.
    Il  citato art. 24 stabilisce, tra l'altro, che: «La procedura di
valutazione di impatto ambientale deve assicurare che: a) [...] siano
considerati  gli obiettivi di proteggere la salute e di migliorare la
qualita'  della  vita  umana  [...]  b)  per  ciascun  progetto siano
valutati  gli  effetti  diretti  ed indiretti della sua realizzazione
sull'uomo,  sulla  fauna,  sulla  flora,  sul  suolo,  sulle acque di
superficie  e  sotterranee,  sull'aria,  sul  clima,  sul paesaggio e
sull'interazione   tra  detti  fattori,  sui  beni  materiali  e  sul
patrimonio culturale ed ambientale».
    Per  quanto  riguarda  le  disposizioni specificamente oggetto di
impugnazione,  anzitutto dall'art. 23 del d.lgs. n. 152 del 2006, che
delimita  il  campo  di  applicazione  di  tale  procedura,  emergono
numerosi profili di incompatibilita' con la normativa comunitaria.
    In  particolare,  al  comma  4,  lettere b) e c), vengono esclusi
dalla  VIA  i  progetti relativi ad opere di protezione civile oppure
attuati  in  via  d'urgenza,  nonche' quelli di carattere temporaneo.
Tale  esclusione  e'  in  contrasto  con quanto disposto dall'art. 1,
paragrafo  4,  della  direttiva 85/337/CEE concernente la valutazione
dell'impatto  ambientale  di determinati progetti pubblici e privati,
in  base  al  quale  possono  essere  esclusi dall'applicazione della
direttiva  medesima,  oltre  ai progetti approvati con specifico atto
legislativo  (par.  5),  solo  i progetti relativi ad opere di difesa
nazionale.
    La  violazione  dei  principi  comunitari  predetti  costituisce,
altresi',  eccesso  di  delega  per  violazione dell'art. 1, comma 8,
lettera  e)  della  legge n. 308/2004, in base al quale il Governo e'
tenuto   a   dare   «piena  e  coerente  attuazione  delle  direttive
comunitarie»,  «nel rispetto dei principi e delle norme comunitarie».
Non   si  rinviene,  infatti,  nella  direttiva  in  questione  alcun
principio  che  consenta  in  via  generale  di escludere le opere di
protezione  civile  e  quelle  a carattere temporaneo o urgente dalle
procedure di VIA.
    Anche   a   questo  riguardo  non  e'  inutile  ricordare  quanto
specificamente  segnalato al Governo in sede di Conferenza unificata,
con  il  parere  in data 26 gennaio 2006, nel quale si osserva quanto
segue:   «I  progetti  relativi  ad  opere  ed  interventi  destinati
esclusivamente  a  scopi  di  protezione  civile  o  disposti  in via
d'urgenza possono essere esclusi unicamente alle condizioni e secondo
le  modalita'  di  cui all'art. 2, comma 3 della direttiva 85/337/CEE
come   modificata   dalla   direttiva   97/11/CE  e  dalla  direttiva
2003/35/CE.  Analogamente  non  e'  possibile  l'esclusione  in  modo
generalizzato dei progetti relativi ad opere di carattere temporaneo,
con  particolare  riferimento ai progetti di cui all'allegato I della
direttiva  85/337/CEE  che  devono  essere  sottoposte a procedura di
verifica  o  di  valutazione  secondo  i criteri indicati al punto 13
dell'allegato II della direttiva medesima».
    Per  quanto  concerne l'autorita' preposta alla procedura di VIA,
l'art. 25  del  decreto  legislativo  impugnato  appare  lesivo delle
competenze   regionali,   in   quanto   contrario   al  principio  di
sussidiarieta',   e  viziato  da  eccesso  di  delega,  in  relazione
all'art. 1.  comma 8,  della  legge n. 308 del 2004. Dalla lettera a)
dell'impugnato  art. 25 viene infatti attribuita allo Stato la VIA di
tutti  i progetti di opere sottoposte ad autorizzazione statale. Tale
norma  finisce  per  escludere  qualsiasi valutazione, da parte delle
regioni  coinvolte,  dei  progetti autorizzati a livello nazionale ma
con forte impatto sul territorio regionale.
    Ancor  piu' grave e' quanto stabilito sempre dalla lettera a) del
comma 1 del sopra citato art. 25, in base al quale compete allo Stato
anche  la VIA dei progetti di opere aventi impatto interregionale: si
elimina qualsiasi procedura di coordinamento tra VIA regionali - gia'
oggi  esistenti - attribuendo allo Stato competenze non necessarie in
relazione alla realizzionale dell'opera, per il solo fatto che questa
interessa  il  territorio di piu' regioni. In tal modo, la gran parte
delle opere finirebbe per essere sottoposta a VIA statale.
    Si  riscontra,  anche  in  questo  caso, un eccesso di delega per
contrasto con il disposto dell'art. 1, comma 8. della legge 308/2004,
in  base  al  quale  il  Governo e' tenuto a rispettare le competenze
regionali,  nonche'  ad improntare la normativa delegata al principio
di  sussidiarieta'.  Tale  principio  e' violato da una procedura che
attrae  a  livello centrale VIA su opere la cui valutazione nazionale
non e' necessaria per il corretto espletamento della procedura, senza
neppure  prevedere  adeguate  forme  di  coinvolgimento delle regioni
interessate.
    Anche  per la VIA l'art. 31 prevede un intervento sostitutivo del
Consiglio  dei  Ministri in caso di inerzia dell'autorita' competente
superiore  a  90  giorni  «La  procedura  di  valutazione  di impatto
ambientale  deve  concludersi  con un giudizio motivato entro novanta
giorni  dalla  pubblicazione di cui all'art. 28, comma 2, lettera b),
salvi  i  casi di interruzione e sospensione espressamente previsti».
Tale  termine  e'  in  contrasto con il coordinamento delle procedure
autorizzative  da  parte  delle  regioni,  previsto  dall'art. 45 del
decreto.  Infatti, la maggior parte delle regioni ad oggi ha adottato
procedure di VIA di durata compresa tra i 120 ed i 150 giorni, con il
risultato  che,  pur  attivando  correttamente la procedura secondo i
tempi  previsti  dall'attuale  normativa,  le  regioni  si vedrebbero
scavalcate dall'esercizio del potere sostitutivo statale.
    Per  quanto  riguarda  la  Valle d'Aosta, la vigente legislazione
regionale,  del tutto ragionevolmente, prevede ipotesi di proroga dei
termini  del  procedimento  alle  quali  non e' chiaro se si applichi
l'eccezione  prevista dall'impugnato art. 31, comma 1, per «i casi di
interruzione  e sospensione espressamente previsti». Si consideri, in
particolare,  l'art. 14,  comma 5,  della  l.r. 18 giugno 1999, n. 14
«Nuova   disciplina   della   procedura  di  Valutazione  di  impatto
ambientale.  Abrogazione  della  legge  regionale  4 marzo 1991, n. 6
(Disciplina  della procedura di valutazione dell'impatto ambientale»,
a  norma  del  quale  «nei  casi  in  cui sia necessario procedere ad
accertamenti  o  indagini  di  particolare  complessita',  la  giunta
regionale,   su  richiesta  del  Comitato  di  cui  all'art. 4,  puo'
autorizzare  la struttura regionale competente in materia di V.I.A. a
prolungare lo svolgimento dell'istruttoria fino ad un periodo massimo
complessivo di centottanta giorni».
    Anche  la  norma contenuta nell'art. 33 del decreto, in base alla
quale  vengono  acquisiti  alla  procedura  di VIA tutti gli elementi
«positivamente  valutati» in sede di VAS - a parte l'ambiguita' della
formulazione,   non   comprendendosi   se   la   disposizione  faccia
riferimento   solo   agli   elementi   favorevoli,  ovvero  a  quelli
«espressamente» valutati - contrasta con quanto disposto dall'art. 11
della   direttiva   2001/42/CE,  in  base  al  quale  la  valutazione
ambientale   di   piani   e   programmi   «lascia  impregiudicate  le
disposizioni della direttiva 85/337/CEE» relativa, appunto, alla VIA,
e   incide   pertanto   illegittimamente   sulle  attribuzioni  della
ricorrente.
    La  richiamata  disciplina infatti limita la discrezionalita' del
legislatore  regionale.  competente anche in sede di attuazione delle
citate  direttive  comunitarie  a  norma dell'art. 117, quinto comma,
della  Costituzione,  il  quale,  in  Valle d'Aosta, ha organicamente
esercitato  la  sua  specifica  competenza  in  materia.  Si veda, al
riguardo,  la  gia'  citata  legge  regionale  18 giugno 1999, n. 14,
recante  «Nuova  disciplina della procedura di valutazione di impatto
ambientale.  Abrogazione  della  legge  regionale  4 marzo 1991, n. 6
(Disciplina della procedura di valutazione dell'impatto ambientale)».
    6.  -  Illeggittimita'  costituzionale  degli  artt. 63  e 64 del
d.lgs. n. 152 del 2006, concernenti le nuove Autorita' di bacino, per
violazione delle attribuzioni della ricorrente in materia ambientale,
di  governo  del  territorio  e di acque (desumibili dagli artt. 117,
terzo  e quarto comma, Cost. e 10, legge cost. n. 3 del 2001; nonche'
dall'art. 2,  lettere  d),  e),  f),  g),  i),  m), q) e dall'art. 3,
lettera  d)  St.  V.d'A.);  dell'art. 4  St. V.d'A.; del principio di
leale collaborazione; dell'art. 76 Cost.
    La  disciplina  contenuta nell'art. 63 del d.lgs. n. 152 del 2006
esorbita palesemente dai limiti di oggetto imposti dall'art. 1, comma
1,  della  legge  delega,  in base al quale il Governo e' delegato ad
adottare   «decreti   legislativi   di   riordino,  coordinamento  ed
integrazione»  delle  disposizioni  legislative  nelle  materie e nei
settori  ivi  indicati,  tra i quali, alla lettera c), si menziona la
«difesa del suolo e lotta alla desertificazione».
    In  un quadro generale di riorganizzazione su base ceritralistica
delle politiche in materia di difesa del suolo, la soppressione delle
precedenti  Autorita'  di bacino e la loro sostituzione con Autorita'
di  bacino  distrettuali  a  norma  dell'art. 63,  commi  1  e  3, ha
evidentemente   portata  innovativa  ed  eccede  pertanto  dai  sopra
richiamati  limiti  della  delega legislativa, stabiliti dall'art. 1,
comma  1,  della  legge  n. 308  del 2004. Ne' altre parti del citato
art. 1  consentono  un intervento cosi' radicale come la soppressione
delle  Autorita'  di  bacino di cui alla legge n. 183 del 1989 (Norme
per  il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo),
non  riconducibile  in  alcun  modo,  in  particolare, ai «principi e
criteri  specifici»  in  materia  di  tutela  del suolo e risanamento
idrogeologico  di  cui  all'art. 1,  comma  9, lettera c) della legge
n. 308  del  2004,  i  quali  impongono, tra l'altro, e piuttosto, di
«valorizzare  il  ruolo  e  le  competenze  svolti  dagli organismi a
composizione mista statale e regionale».
    Nella  legge  n. 308 del 2004 si ipotizza la formulazione, se non
di  testi  unici a carattere meramente «compilativo» o «ricognitivo»,
quanto  meno  di una normativa di riordino della legislazione vigente
in materia di difesa del suolo, che dal decreto legislativo impugnato
viene  invece  abrogata  -  e'  il  caso, in particolare, della legge
n. 183  del  1989  e dell'art. 1 del d.l. n. 180 del 1998, convertito
nella  legge  n. 267  del 1998 (che al comma 2 prevedeva procedure di
intesa  in  Conferenza Stato-Regioni per la definizione di «programmi
di  interventi  urgenti,  anche attraverso azioni di manutenzione dei
bacini  idrografici,  per  la  riduzione  del rischio idrogeo1ogico»)
abrogati   dall'art. 175   del   decreto   legislativo   n. 152  -  e
disorganicamente  nonche'  parzialmente  reintrodotta  con  modifiche
comportanti un significativo ridimensionamento del ruolo regionale.
    In   particolare,   le   regioni   partecipano   alla  Conferenza
istituzionale  permanente,  organo  dell'Autorita' di bacino ai sensi
dell'art. 63,   comma   2,   presieduto   e  convocato  dal  Ministro
dell'ambiente  e competente, in base al comma 4, ad adottare gli atti
di  indirizzo,  coordinamento  e  pianificazione  delle  Autorita' di
bacino distrettuali e ad esercitare le ulteriori competenze di cui al
successivo comma 5.
    Dal  comma  4  dell'impugnato  art. 63  risulta una posizione del
tutto   subalterna  delle  regioni:  «Alla  Conferenza  istituzionale
permanente  partecipano  i  Ministri dell'ambiente e della tutela del
territorio,  delle  infrastrutture  e  dei trasporti, delle attivita'
produttive,  delle  politiche  agricole  e forestali, per la funzione
pubblica,  per i beni e le attivita' culturali o i Sottosegretari dai
medesimi  delegati,  nonche'  i  Presidenti  delle  regioni  e  delle
province  autonome  il  cui  territorio  e' interessato dal distretto
idrografico  o gli Assessori dai medesimi delegati, oltre al delegato
del  Dipartimento  della  protezione  civile  [....].  La  conferenza
istituzionale permanente delibera a maggioranza».
    Come  si  vede,  alla  Conferenza,  che  delibera  a maggioranza,
partecipano  ben  sei  Ministri ed un delegato del Dipartimento della
Protezione  civile,  accanto ai Presidenti delle Regioni interessate,
che,  com'e' agevolmente prevedibile, saranno sempre in minoranza. Si
tratta   di  una  disciplina  che  riduce  ulteriormente  -  anziche'
valorizzarlo,  in  conformita'  al  nuovo quadro costituzionale ed ai
principi  e  criteri  della  delega  - il ruolo regionale, rispetto a
quanto  previsto  dall'abrogato  art. 12  della legge n. 183 del 1989
(che  prevedeva  la presenza di un numero inferiore di ministri e non
imponeva  la  deliberazione a maggioranza), la cui abrogazione totale
rende,   tra   l'altro,   difficilmente   comprensibile  il  comma  6
dell'art. 61   del  decreto  legislativo  n. 152,  secondo  il  quale
«restano ferme tutte le altre funzioni amministrative gia' trasferite
o delegate alle regioni».
    Come  ha  sottolineato anche la Conferenza delle, regioni e delle
Province  autonome  nel  parere  del  26  gennaio 2006, il meccanismo
dell'adozione  a  maggioranza  del  piano  di  bacino  da parte della
Conferenza  istituzionale  permanente  a  norma  dell'art  63 comma 5
lettera  e),  puo'  comportare l'imposizione di scelte e decisioni in
materia  di  pianificazione  non  condivise  da  parte di una singola
regione direttamente interessata.
    Cio'  appare  tanto  piu'  inaccettabile in quanto, in materia di
utilizzazione delle acque pubbliche, e' prevista in Valle d'Aosta una
gestione  coordinata  e  paritetica  basata sull'art. 8, terzo comma,
dello   Statuto,  a  norma  del  quale  l'utilizzazione  delle  acque
pubbliche  esistenti  nella,  regione deve avvenire «secondo un piano
generale   da   stabilirsi   da   un   Comitato  misto,  composto  di
rappresentanti  del  Ministero  dei  lavori  pubblici  e della Giunta
regionale».  A  questo  riguardo,  mette conto ricordare che l'art. 1
della   legge   5   luglio   1975,  n. 304,  recante  «Norme  per  la
utilizzazione  delle  acque  pubbliche  ad  uso  idroelettrico  nella
regione  Valle  d'Aosta»  stabilisce  che  «per l'utilizzazione delle
acque  pubbliche  ad  uso idro-elettrico nel territorio della regione
Valle  d'Aosta  si  osserva  il  piano  di  utilizzazione redatto dal
comitato  misto  previsto dal terzo comma dell'articolo 8 della legge
costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4, debitamente aggiornato».
    Anche  l'art. 7  della  l.r.  8 settembre  1999,  n. 27,  recante
«Disciplina   dell'organizzazione   del  servizio  idrico  integrato»
(pubblicata  nel  B.U.  Valle  d'Aosta  10  settembre  1999,  n. 40),
disciplina  il  piano  regionale  delle  acque in termini cooperativi
prevedendo,  tra  l'altro,  al  comma  2,  che  «in  armonia  con  le
previsioni  della  pianificazione  di  bacino  del  fiume  Po, con le
direttive  del  Comitato  misto  di  cui all'articolo 8, comma terzo,
dello Statuto speciale e con il concorso e la collaborazione di tutte
le  parti  interessate  all'uso  e  alla tutela del patrimonio idrico
regionale, il piano regionale fissa i criteri e le direttive generali
finalizzati  a  garantire»,  tra  l'altro,  «la  corretta e razionale
utilizzazione delle risorse idriche».
    La disciplina di cui all'impugnato art. 63 e' incompatibile con i
principi  criteri  specifici»  in  materia  di  tutela  del  suolo  e
risanamento  idrogeologico di cui all'art. 1, comma 9, lettera c) del
d.lgs.  n. 152  del  2006,  i  quali  impongono,  come si e' poc'anzi
ricordato,  di  «valorizzare  il  ruolo  e le competenze svolti dagli
organismi a composizione mista statale e regionale.
    Le  disposizioni  impugnate,  ben difficilmente qualificabili «di
riordiono,  coordinamento  ed  integrazione»,  ledono  -  piu' o meno
direttamente  - le competenze legislative regionali di rango primario
di  cui  all'art. 2  dello Statuto in materia di piccole bonifiche ed
opere  di miglioramento agrario i fondiario (lettera e); urbanistica,
piani   regolatori  per  zone  di  particolari  importanza  turistica
(lettera  g):  acque  minerali e termali (lettera i); acque pubbliche
destinate  ad  irrigazione ed a uso domestico (lettera m); tutela del
paesaggio  (lettera  q); nonche' la competenza concorrente in materia
di  governo  del  territorio, ex art. 117, terzo comma, Cost., che si
estende  anche  alla  VaIle  d'Aosta  per quanto eccedente la materia
urbanistica  ed  edilizia,  assegnata  alla competenza primaria della
ricorrente.
    Non   meno   lievemente   menomate   sono   poi   le   competenze
amministrative della Rgione, di cui all'art. 4 dello Statuto e quelle
di  cui  al  d.lgs  16  marzo 1999, n. 89, «Norme di attuazione dello
statuto  speciale  della  Regione  Valle  d'Aosta in materia di acque
pubbliche  che  all'art. 1,  comma 1, prevede che «sono trasferite al
demanio  della  regione  tutte  le acque pubbliche utilizzate ai fini
irrigui  o  potabili, compresi gli alvei e le pertinenze relative» e,
al  comma  2, stabilisce che «la regione Valle d'Aosta esercita tutte
le  attribuzioni  inerenti  alla  titolarita'  di  tale demanio ed in
particolare quelle concernenti la polizia idraulica e la difesa delle
acque dall'inquinamento».
    L'importanza   delle  attribuzioni  regionali  e  delle  garanzie
partecipative  nella  materia  in  oggetto  risulta chiaramente anche
dalla sent. n. 534 del 2002, pronunciata in riferimento al previgente
Titolo V, concernente l'art. 1-bis, comma 5, del decreto-legge n. 279
del  2000,  che  attribuiva  alle  determinazioni  assunte in sede di
Comitato  istituzionale delle Autorita' di bacino (bacini idrografici
di   rilievo   nazionale)  il  valore  di  «variante  agli  strumenti
urbanistici».  Tale  disciplina viene ritenuta in netto contrasto con
le competenze regionali in materia di pianificazione urbanistica: «la
previsione  di  indiscriminata  efficacia  di variante agli strumenti
urbanistici  per  tutte  le  determinazioni  assunte, in relazione al
piano  stralcio  per  l'assetto  idrogeologico,  in  sede di comitato
istituzionale  dell'Autorita' di bacino, ancorche' a seguito di esame
della  conferena  programmatica  con  partecipazione  regionale e dei
comuni  interessati  (semplice  parere),  rappresenta  una violazione
della  sfera  di  autonomia  regionale  (per riferimenti, v. sentenza
n. 206  del  2001)  in  materia  di  pianificazione  urbanistica.  Di
conseguenza,  deve essere dichiarata la illegittimita' costituzionale
dell'art.  1-bis, comma 5, del d.l. 12 ottobre 2000, n. 279, aggiunto
dalla legge di conversione 11 dicembre 2000, n. 365».
    Un ulteriore profilo di incostituzionalita' riguarda poi il comma
3  dell'art.  63,  a norma del quale «Le autorita' di bacino previste
dalla  legge 18 maggio 1989, n. 183, sono soppresse a far data dal 30
aprile 2006 e le relative funzioni sono esercitate dalle Autorita' di
bacino  distrettuale di cui alla parte terza del presente decreto. Il
decreto  di  cui al comma 2 disciplina il trasferimento di funzioni e
regolamenta il periodo transitorio».
    Si  tratta di una disciplina manifestamente illegittima, e lesiva
delle attribuzioni regionali, che crea un grave vuoto normativo senza
peraltro   approntare   alcuna   disciplina   transitoria,   la   cui
introduzione e' demandata al decreto del Presidente del Consiglio dei
Ministri  previsto  dal precedente comma 2, senza alcuna garanzia sui
tempi  della sua emanazione. In generale, e con specifico riferimento
a  quest'ultimo profilo, nel parere della Conferenza delle regioni in
data  26  gennaio  2006,  si  osserva:  «Non  e' pensabile approntare
norniative di importanza strategica e di forte impatto sul territorio
senza  coinvolgere  nel  processo  decisionale  le regioni, giungendo
perfino  a  sopprimere  le Autorita' di Bacino della legge 183/1989 e
tutto  cio'  che  queste  hanno  prodotto  fino ad oggi in termini di
pianificazione,   normative,  vincoli  e  prescrizioni.  Il  pericolo
maggiore  derivante  da  questo  decreto e' quello di creare un vuoto
normativo che rischi di abbandonare a se stesso e ad un uso improprio
il territorio italiano, che, per le sue caratteristiche fisiche oltre
che  per  il  verificarsi  sempre  piu' frequente di eventi climatici
estremi,   e'   sempre   piu'   soggetto   a   fenomeni  di  dissesto
idrogeologico,  con  darmi ingenti alle popolazioni, all'urbanizzato,
alle  infrastrutture,  alle  attivita' produttive». Tali rilievi sono
integralmente fatti propri dalla ricorrente, che vi ravvisa ulteriori
motivi di impugnazione.
    L'entrata  in  vigore  della nuova disciplina determinia anche in
Valle  D'Aosta  una  grave  situazione  di  incertezza  in  ordine ai
fondamentali  strumenti  di  pianificazione  e gestione, a partire da
quelli  previsti  dalla  legge  regionale  1° dicembre  1992,  n. 67,
«Interventi  in  materia di sistemazioni idraulico-forestali e difesa
del  suolo».  Da ultimo, con la deliberazione del Consiglio regionale
n. 1788/XII   dell'8  febbraio  2006  e'  stato  approvato  il  Piano
regionale  di  tutela  delle  acque ai sensi dell'art. 44 del decreto
legislativo  n. 152/1999  -  espressamente  abrogato dall'art 175 del
d.lgs.  n. 152  del 2006 che costituisce un piano stralcio di settore
del  piano  di  bacino  ai sensi dell'articolo 17, comma 6-ter, della
legge  18  maggio  1989, n. 183 (anch'essa abrogata d.lgs. n. 152 del
2006)  e  nel  quale  sono  individuati  gli  obiettivi  di  qualita'
ambientale  e  per  specifica  destinazione  dei  corpi  idrici e gli
interventi  volti  a garantire il loro raggiungimento o mantenimento,
nonche'  le  misure  di  tutela  qualitative  e quantitative tra loro
integrate  e  coordinate  per  bacino idrografico. Quanto dedotto nel
presente  paragrafo  implica, in via conseguenziale, l'illegittimita'
costituzionale  anche  dell'art.  64  del  d.lgs.  n. 152  del  2006,
contenente   la   nuova   ripartizione   dei  distretti  idrografici,
all'interno  dei  quali  sono  esercitate  le  funzioni  delle  nuove
Autorita' di bacino distrettuale.
    7.  -  l'illegittimita'  costituzionale degli artt. 202 e 203 del
d.lgs.  n. 152  del  2006,  relativi  alla  gestione dei rifiuti, per
lesione  delle  attribuzioni della ricorrente in materia ambientale e
igienico-sanitaria,  nonche'  per  violazione  dell'art.  117, quarto
comma, Cost.; degli artt. 2, lettera b), e 4 St. V.d'A.; dell'art. 76
Cost.
    L'art. 202 (Affidamento del servizo) del d.lgs. n. 152 prevede al
comma  1  che  L'Autorita' d'ambito aggiudica il servizio di gestione
integrata  dei rifiuti urbani mediante gara disciplinata dai principi
e  dalle  disposizioni  comunitarie. in conformita' ai criteri di cui
all'articolo  113,  comma  7, del decreto legislativo 18 agosto 2000,
n. 267,  nonche'  con riferimento all'ammontare del corrispettivo per
la  gestione svolta, tenuto conto delle garanzie di carattere tecnico
e  delle  precedenti  esperienze  specifiche dei concorrenti, secondo
modalita' e termini definiti con decreto dal Ministro dell'ambiente e
della  tutela  del territorio nel rispetto delle competenze regionali
in materia».
    Si  tratta  di una disposizione illegittima anzitutto nella parte
in  cui prevede un decreto ministeriale destinato ad introdurre norme
secondarie  di dettaglio per la definizione di modalita' e termini di
un  procedimento  per  l'affidamento  di un servizio pubblico locale,
violando  la  competenza  legislativa  residuale  ex art. 117, quarto
comma,  Cost.  -  riconosciuta  da  codesta ecc.ma Corte nelle sentt.
n. 272  del  2004  e  n. 29  del  2006 - attribuzione rafforzata, per
quanto  riguarda  la  ricorrente,  dalla  competenza  primaria di cui
all'art. 2,  lettera b). dello Statuto, parimenti lesa, in materia di
«ordinamento  degli  enti  locali» (la materia e' inoltre contemplata
dall'art. 3,  lettera  o),  dello  Statuto  di autonomia). L'art. 202
viola  inoltre  i  principi  in  tema di rapporti tra fonti statali e
regionali, che in base ad una costante giurisprudenza costituzionale,
anche  precedente  l'entrata  in  vigore  dell'art. 117, sesto comma,
della Costituzione escludono l'operativita' delle fonti regolamentari
statali  nelle  materie  di  competenza  regionale,  tra  le quali va
incluso  l'affidamento del servizio di gestione integrata dei rifiuti
urbani,  sia  in quanto riconducibile, come servizio pubblico locale,
all'art. 117,  quarto  comma,  Cost.,  applicabile, con riguardo alla
materia   dei  servizi  pubblici  locali,  alla  ricorrente  in  base
all'art. 10  della  legge costituzionale n. 3 del 2001: sia in quanto
rientrante  nelle  attribuzioni della ricorrente in materia di tutela
dell'ambiente,  riconosciute  alla Valle d'Aosta dalla giurisprudenza
costituzionale  sopra  richiamata,  sub  1,  non  superata  a seguito
dell'entrata  in  vigore  del nuovo art. 117, che non si applica alle
regioni  speciali  nella  parte  in  cui al secondo comma, lettera s)
assegna  alla  competenza esclusiva del legislatore statale la tutela
dell'ambiente.
    Anche  i  commi successivi dell'art. 202, da 2 a 6, e l'art. 203,
disciplinante  lo  schema  tipo  di contratto di servizio, del d.lgs.
n. 152   contengono   una  disciplina,  estremamente  dettagliata  ed
autoapplicativa,  lesiva  del  le  attribuzioni  della  regione,  non
riferibile  alla  competenza  esclusiva  statale in materia di tutela
della   concorrenza,   ex   art. 117,  comma  2,  lettera  e),  della
Costituzione,  il  cui  esercizio rimane comunque assoggettato ad uno
scrutinio  stretto  di  costituzionalita',  sotto  il  profilo  della
ragionevolezza  e  della  proporzionalita'  della disciplina statale,
come  codesta  ecc.ma  Corte  ha  chiarito, tra l'altro, nella stessa
sentenza  n. 272  del  2004,  che  ha censurato una normativa statale
altrettanto  dettagliata  che,  come quella impugnata con il presente
ricorso,  andava  «al  di la' della pur doverosa tutela degli aspetti
concorrenziali inerenti al la gara».
    I  principi  enunciati  nella  sent.  n. 272 del 2004, sono stati
ripresi  ed ulteriormente precisati nella sent. n. 29 del 2006, nella
quale,  con  riferimento  all'art. 117, secondo comma. lettera e), si
chiarisce,  da un lato, che tale titolo di legittimazione statale «e'
riferibile   solo   alle   disposizioni  di  carattere  generale  che
disciplinano  le  modalita'  di  gestione e l'affidamento dei servizi
pubblici  locali  di "rilevanza economica" e dall'altro lato che solo
le  predette  disposizioni  non  possono  essere  derogate  da  norme
regionali» (enfasi aggiunta).
    Ne' il carattere dettagliato ed autoapplicativo degli artt. 202 e
203,    integralmente    censurati    e   impugnati,   puo'   trovare
giustificazione  nella  competenza  statale  di  cui  alla lettera s)
dell'art. 117,  secondo  comma,  della  Costituzione,  pur  idonea ad
investire  diversi  aspetti  della  vasta tematica della gestione dei
rifiuti,  ampiamente  disciplinata  dagli  artt. 177  e  seguenti del
d.lgs. n. 152 del 2006.
    L'estensione  della materia dei rifiuti (oggetto in Valle d'Aosta
di  un'organica  disciplina  legislativa  regionale:  legge 16 agosto
1982,  n. 37, «Norme per lo smaltimento dei rifiuti solidi»; legge 16
giugno  1988,  n. 44,  «Disposizioni urgenti in materia di raccolta e
stoccaggio provvisorio di rifiuti solidi urbani e per l'incenerimento
dei rifiuti speciali a base organica nonche' degli animali o parti di
animali  da  distruggere»;  legge  21  agosto 1990, n. 60, «Ulteriori
disposizioni  in  materia  di smaltimento dei rifiuti solidi urbani e
modificazioni  alla  legge regionale 16 agosto 1982, n. 37 cosi' come
modificata  dalla  legge  regionale  16 giugno 1988, n. 44»; legge 27
dicembre  1991,  n. 88,  «Disposizioni  per lo smaltimento di liquami
organici concentrati e di fanghi nonche' per il recapito in pubbliche
fognature  di  scarichi  di insediamenti produttivi»; legge 30 maggio
1995,  n. 19  «Norme  per  il  recupero ed ul riutilizzo di materiali
inerti»)  e'  tale  da  coinvolgere  una  pluralita'  di attribuzioni
regionali, lese dalle disposizioni legislative impugnate.
    Cio' risulta in modo evidente dall'art. 1, commi primo e secondo,
della l.r. Valle d'Aosta 16 agosto 1982, n. 37, recante «Norme per lo
smaltimento dei rifiuti solidi» a norma del quale: «La presente legge
disciplina lo smaltimento dei rifiuti solidi e semisolidi nelle varie
fasi  di  conferimento,  raccolta,  trasporto, trattamento e recupero
come  stabilito  negli  articoli seguenti. Lo smaltimento dei rifiuti
solidi  e  semisolidi costituisce attivita' di pubblico interesse, ai
fini  della tutela della salute e del benessere della collettivita' e
dei    singoli,   della   protezione   dall'inquinamento   dell'aria,
dell'acqua,  del suolo, del sottosuolo, nonche' da ogni inconveniente
derivante  da rumori ed odori, della salvaguardia della flora e della
fauna, della tutela dell'ambiente e del paesaggio».
    Per  le  ragioni  sopra  esposte, si impugna il d.lgs. n. 152 del
2006  almeno  -  per  quanto  riguarda il settore dei rifiuti - nella
parte in cui, attraverso gli artt. 202 e 203, lede le attribuzioni in
materia ambientale, igienico-sanitaria e urbanistica della ricorrente
e, soprattutto, di fatto svuota la competenza esclusiva (o residuale)
della  regione  in  materia  di servizi pubblici locali, basata sugli
artt. 117,  quarto  comma. Cost. e 10 della legge costituzionale n. 3
del  2001,  rafforzata,  come si e' detto, dalla potesta' legislativa
primaria  della  ricorrente  di  cui  all'art. 2,  lettera b), dello,
statuto speciale, parimenti lesa.