Ricorso della Regione Valle d'Aosta, in persona del Presidente della regione e legale rappresentante pro tempore, on. Luciano Caveri, giusta deliberazione della giunta regionale n. 1623 adottata in data 1° giugno 2006 (doc. 1), rappresentata e difesa, in forza di procura a margine del presente atto, dell'avv. prof. Giampaolo Parodi del foro di Genova, ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Roma, via di Ripetta n. 142; Contro la presidenza del Consiglio dei Ministri in persona del Presidente del Consiglio in carica per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), pubblicato nel supplemento ordinario n. 96 alla Gazzetta Ufficiale - serie generale - n. 88 del 14 aprile 2006, con riferimento agli articoli 6, 4, comma 1, lettera a), numero 3, 7, comma 3, 10, 12, comma 2, 16, 68, 23, comma 4, 25 e 31, commi 1 e 2, 33, 63, 64, 202 e 203. F a t t o Con il decreto legislativo 3 aprile 2006 n. 152, recante «norme in materia ambientale», il Governo ha esercitato la delega legislativa di cui alla legge 15 dicembre 2004, n. 308, «Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l'integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione», la quale, all'art. 1, comma 1, stabilisce: «Il Governo e' delegato ad adottare, entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, uno o piu' decreti legislativi di riordino, coordinamento e integrazione delle disposizioni legislative nei seguenti settori e materie, anche mediante la redazione di testi unici: a) gestione dei rifiuti e bonifica dei siti contaminati; b) tutela delle acque dall'inquinamento e gestione delle risorse idriche; c) difesa del suolo e lotta alla desertificazione; d) gestione delle aree protette, conservazione e utilizzo sostenibile degli esemplari di specie protette di flora e di fauna; e) tutela risarcitoria contro i danni all'ambiente; f) procedure per la valutazione di impatto ambientale (VIA), per la valutazione ambientale strategica (VAS) e per l'autorizzazione ambientale integrata (IPPC); g) tutela dell'aria e riduzione delle emissioni in atmosfera» (corsivo non testuale). Per quanto concerne i principi ed i criteri direttivi della delega, l'art. 1, comma 8, la legge n. 308, tra l'altro, stabilisce: «I decreti legislativi di cui al comma 1 si conformano, nel rispetto dei principi e delle norme comunitarie e delle competenze per materia delle amministrazioni statali, nonche' delle attribuzioni delle regioni e degli enti locali, come definite ai sensi dell'articolo 117 della Costituzione, della legge 15 marzo 1997, n. 59, e del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, efatte salve le norme statutarie e le relative norme di attuazione delle regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento e di Bolzano, e del principio di sussidiarieta', ai seguenti principi e criteri direttivi generali: a) garanzia della salvaguardia, della tutela e del miglioramento della qualita' dell'ambiente, della protezione della salute umana, dell'utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali, della promozione sul piano internazionale delle norme destinate a risolvere i problemi dell'ambiente a livello locale, regionale, nazionale, comunitario e mondiale, come indicato dall'articolo 174 del Trattato istitutivo della comunita' europea, e successive modificazioni; [...] e) piena e coerente attuazione delle direttive comunitarie, al fine di garantire elevati livelli di tutela dell'ambiente e di contribuire in tale modo alla competitivita' dei sistemi territoriali e delle imprese, evitando fenomeni di distorsione della concorrenza» (corsivo non testuale). Come si dira', il decreto legislativo impugnato risulta anzitutto viziato sotto il profilo formale e procedurale, in quanto adottato attraverso un procedimento gravemente lesivo del principio di leale collaborazione tra Stato, regioni ed enti locali. Le disposizioni specificamente impugnate sia in quanto eccedenti dai limiti della delega ed in contrasto con i principi e criteri direttivi sopra richiamati, sia in quanto lesive dei parametri costituzionali ed interposti di seguito indicati, sono le seguenti: l'articolo 6, nella parte in cui prevede un'integrazione con esperti regionali della commissione tecnico-consultiva per la valutazioni ambientali del tutto inadeguata; gli articoli 4, comma 1, lettera a), numero 3), 7, comma 3, 10, 12, comma 2, 16 e 68, relativi alla procedura di valutazione ambientale strategica (VAS); gli articoli 23, comma 4, 25. 31, commi 1 e 2, e 33, relativi alla procedura di valutazione di impatto ambientale (VIA); gli articoli 63 e 64, concernenti le nuove Autorita' di bacino; gli articoli 202 e 203, relativi alla gestione dei rifiuti. In riferimento sia a disposizioni statutarie e di attuazione statutaria, sia a disposizioni del Titolo V della Costituzione, la richiamata disciplina statale risulta lesiva della sfera di attribuzioni della Regione autonoma Valle d'Aosta sotto molteplici profili. Di qui la necessita' della proposizione del seguente ricorso, per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 «Norme in materia ambientale» ed in particolare degli articoli 6, 4, comma 1, lettera a), numero 3, 7, comma 3, 10, 12, comma 2, 16, 68, 23, comma 4, 25 e 31, commi 1 e 2, 33, 63, 64, 202 e 203, per i seguenti motivi di D i r i t t o 1. - Premessa sulla violazione delle attribuzioni regionali in materia ambientale ed in materie «confinanti» o «funzionalmente collegate». Prima di prendere in considerazione le singole disposizioni specificamente censurate, e' necessario premettere alcune puntualizzazioni sull'ampia competenza legislativa ed amministrativa della Regione Valle d'Aosta in materia di tutela dell'ambiente, nelle sue molteplici estrinsecazioni, da tempo acquisita e confortata da una giurisprudenza costituzionale costante ed univoca. Quanto premesso nel presente paragrafo consente di non reiterare ogni volta gli argomenti che devono essere addotti a fondamento delle invocate competenze in materia di tutela dell'ambiente spettanti alla ricorrente. Dalla sent. n. 1029 del 1988 di codesta ecc.ma Corte risulta un quadro di attribuzioni costituzionalmente garantite gia' da tempo consolidato. Si tratta di competenze che «nel caso della Valle d'Aosta, sono in gran parte assegnate alla sua competenza legislativa primaria in base all'art. 2 dello Statuto di autonomia. A questa, infatti, sono affidate sia l'urbanistica, l'agricoltura e foreste, la caccia e la pesca. il turismo, i lavori pubblici e l'artigianato, sia. soprattutto, la "tutela del paesaggio" la quale appare contrassegnata da una strettissima contiguita' con la "protezione della natura" in quanto caratterizzata da interessi estetico-culturali (v. sentt. nn. 239 del 1982, 359 del 1985, 151 del 1986) che, ancorche' presenti nella materia disciplinata dall'art. 83, sono in quest'ultimo caso trascesi in una visione piu' ampia, basata primariamente sugli interessi ecologici e, quindi, sulla difesa dell'ambiente come bene unitario, pur se composto da molteplici aspetti rilevanti per la vita naturale e umana (v. in tal senso sent. n. 617 del 1987). In altre parole, al livello della gestione diretta delle attivita' rilevanti per la protezione della natura e dell'ambiente attuata mediante un parco nazionale, la regione vanta una competenza ad hoc di tipo concorrente (v. spec. sentt. nn. 223 del 1984, 183 del 1987), che si affianca a numerose altre competenze su materie confinanti (urbanistica, agricoltura, etc.). esercitate, nel caso della Valle d'Aosta, sulla base di una potesta' di tipo esclusivo» (enfasi aggiunta). Un implicito ma non meno significativo riconoscimento delle competenze ambientali della ricorrente si trova anche nella successiva sent. n. 264 del 1996, che rigetta le censure mosse ad una legge della Valle d'Aosta istitutiva di una tariffa d'uso per l'ingresso e la circolazione dei veicoli a motore in strade extraurbane: «la legge indica gia' nel primo articolo le finalita' giustificative dei limiti che si intendono porre alla circolazione: garantire il transito in condizioni di sicurezza, il rispetto del limite di carico del territorio interessato, la riduzione della congestione di traffico veicolare e la migliore tutela dell'ambiente e del paesaggio». Nella successiva sent. n. 285 del 1997, pur sfavorevole alla legge della Valle d'Aosta a suo tempo impugnata, in termini del tutto espliciti si afferma che «questa Corte ha gia' osservato che (v. sentenza n. 183 del 1987) una competenza "costituzionalmente garantita in materia di protezione ambientale" spetta alle regioni nel senso che le stesse ben possono unitamente allo Stato o anche in piena autonomia, attivarsi per la tutela del bene ambiente contro tutte le forme di inquinamento» (enfasi aggiunta). Le competenze ambientali della ricorrente trovano altresi' conferma nell'art. 16 della legge 16 maggio 1978, n. 196. recante «Norme di attuazione dello statuto speciale della Valle d'Aosta», a norma del quale «in attuazione dell'articolo 4, primo comma, della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4, in relazione all'articolo 2, lettera q), ultima parte, della legge costituzionale medesima, sono trasferite alla Regione Valle d'Aosta le funzioni amministrative che il Ministero per i beni culturali ed ambientali ed altri organi centrali e periferici dello Stato esercitano, per il territorio delle Valle d'Aosta, in materia di tutela del paesaggio». Ulteriore conferma delle attribuzioni ambientali della Valle d'Aosta e' fornita dall'art. 50 del d.P.R. 22 febbraio 1982, n. 182, recante «Norme di attuazione dello statuto speciale della Regione Valle d'Aosta per la estensione alla regione delle disposizioni del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 e della normativa relativa agli enti soppressi con l'art. 1-bis del 18 agosto 1978, n. 481, convertito nella legge 21 ottobre 1978, n. 641», che stabilisce quanto segue: «Le funzioni amministrative nella materia relativa alla urbanistica ed ai piani regolatori per zone di particolare importanza turistica concernono la disciplina dell'uso del territorio comprensiva di tutti gli aspetti conoscitivi, normativi e gestionali riguardanti le operazioni di salvaguardia e di trasformazione del suolo nonche' la protezione dell'ambiente e l'approvazione di piani regolatori per zone di particolare importanza turistica». Le richiamate norme di attuazione mantengono allo Stato competenze ben circoscritte, come chiaramente risulta dal successivo art. 51 («Sono di competenza dello Stato le funzioni amministrative concernenti: a) l'identificazione delle linee fondamentali dell'assetto del territorio nazionale, con particolare riferimento all'articolazione territoriale degli interventi di interesse statale ed alla tutela ambientale ed ecologica del territorio nonche' alla difesa del suolo; b) la formazione e l'aggiornamento degli elenchi delle zone dichiarate sismiche e l'emanazione delle relative norme tecniche per le costruzioni nelle stesse. Per le opere da eseguirsi da amministrazioni statali o comunque insistenti su aree del demanio statale l'accertamento della conformita' alle prescrizioni delle norme e dei piani urbanistici ed edilizi, salvo che per le opere destinate alla difesa militare, e' fatto dallo Stato di intesa con la regione»; corsivo non testuale). In materia ambientale, di fondamentale importanza sono poi gli artt. 67 e 68 del d.P.R. 22 febbraio 1982, n. 182. Non e' inutile riportare l'intero art. 67, che stabilisce quanto segue: «Sono trasferite alla regione, salvo quanto disposto successivamente, le funzioni amministrative esercitate dagli organi centrali e periferici dello Stato in ordine all'igiene del suolo e dell'inquinamento atmosferico, idrico, termico ed acustico, compresi gli aspetti igienico-sanitari delle industrie insalubri, salvo quanto disposto dalla legge 23 dicembre 1978, n. 833. Il trasferimento riguarda in particolare le funzioni concernenti: a) la disciplina degli scarichi e la programmazione degli interventi di conservazione e depurazione delle acque e di smaltimento dei rifiuti liquidi e idrosolubili; b) la programmazione di interventi per la prevenzione ed il controllo dell'igiene del suolo e la disciplina della raccolta, trasformazione e smaltimento dei rifiuti solidi urbani industriali; c) la tutela dall'inquinamento atmosferico ed idrico di impianti termici ed industriali e da qualunque altra fonte, con esclusione di quello prodotto da scarichi veicolari; d) il controllo e la prevenzione dell'inquinamento acustico prodotto da sorgenti fisse, nonche' quello prodotto da sorgenti mobili se correlate a servizi, opere ed attivita' trasferite alle regioni; c) la formazione professionale degli addetti alla gestione degli impianti termici. Sono inoltre trasferite alla regione le funzioni statali relative al comitato regionale per l'inquinamento atmosferico che potra' sua composizione e nelle sue funzioni anche con riferimento alle funzioni regionali in materia di igiene acustica, idrica del suolo: nonche' alla commissione regionale per la protezione sanitaria della popolazione dai rischi delle radiazioni, di cui all'art. 89 del decreto del Presidente della Repubblica 13 febbraio 1964, n. 185». E' necessario ricordare anche il successivo art. 68 del d.P.R. 22 febbraio 1982, n. 182, che circoscrive le competenze conservate allo Stato attraverso una elencazione tassativa, dalla quale non risulta alcun titolo giustificativo delle disposizioni legislative che con il presente ricorso si impugnano. In generale, e al di la' delle specifiche attribuzioni della Regione autonoma Valle d'Aosta, occorre fare un cenno anche alla giurisprudenza costituzionale precedente la revisione del Titolo V riguardante anche le regioni di diritto comune, giacche' tra i principi e criteri della delega vi e' quello che vieta l'anacronistico ridimensionamento delle attribuzioni regionali in materia ambientale, come definite dalla legislazione precedente la novella costituzionale, secondo quanto stabilito dall'art. 1, comma 8, la legge n. 308 del 2004, sopra citato. Gia' nella sentenza di codesta ecc.ma Corte n. 183 del 1987 si osservava che «non puo' negarsi alla Regione una competenza costituzionalmente garantita in materia di protezione ambientale, il cui contenuto puo' essere individuato, in relazione all'assetto del territorio e dello sviluppo sociale e civile di esso, per un verso nel rispetto e nella valorizzazione delle peculiarita' naturali del territorio stesso, per altro verso, nella preservazione della salubrita' delle condizioni oggettive del suolo, dell'aria e dell'acqua a fronte dell'inquinamento atmosferico, idrico, termico ed acustico. Cio' si desume dall'interpretazione teleologica della elencazione delle materie contenuta nell'art. 117, e richiamata dall'art. 118 Cost., atteso il collegamento funzionale intercorrente fra la materia ora indicata con quelle che riguardano comunque il territorio (sent. n. 225 del 1983), ma particolarmente con quella dell'urbanistica (funzione ordinatrice, ai fini della reciproca compatibilita', degli usi e delle trasformazioni del suolo nella dimensione spaziale considerata e nei tempi ordinatori previsti: cfr. sent. n. 151 del 1986) e con quella del paesaggio (tutela del valore estetico-culturale: cfr. ivi) ed altresi' con la materia dell'assistenza sanitaria (complesso degli interventi positivi per la tutela e promozione della salute umana). Dalle quali, peraltro, la materia della protezione ambientale si distingue per la specificita' dell'interesse perseguito. Ma soprattutto cio' si ricava dalle norme interposte rispetto a quelle costituzionali suddette, di cui agli artt. 80.83 e 101 del d.P.R. n. 616 del 1977» (conforme, ex plurimis la piu' recente sent. n. 382 del 1999). Ma anche la giurisprudenza costituzionale successiva alla revisione Titolo V conferma le attribuzioni regionali in materia ambientale, soprattutto a partire dalla sent. n. 407 del 2002: «I lavori preparatori relativi alla lettera s) del nuovo art. 117 della Costituzione inducono, d'altra parte, a considerare che l'intento del legislatore sia stato quello di riservare comunque allo Stato il potere di fissare standards di tutela uniformi sull'intero territorio nazionale, senza peraltro escludere in questo settore la competenza regionale alla cura di interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente ambientali, In definitiva, si puo' quindi ritenere che riguardo alla protezione dell'ambiente non si sia sostanzialmente inteso eliminare la preesistente pluralita' di titoli di legittiinazione per interventi regionali diretti a soddisfare contestualmente. nell'ambito delle proprie competenze, ulteriori esigenze rispetto a quelle di carattere unitario definite dallo Stato» (conformi, ex plurimis, le sentt. nn. 222 e 307 del 2003; 62, 108, 135 e 214 del 2005). Con riguardo alla posizione delle regioni a statuto speciale e delle Province autonome, per un verso, le piu' estese competenze legislative statali in materia di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema non possono essere opposte alla ricorrente, ai sensi dell'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001; per un altro verso, le Regioni a statuto speciale conservano la competenza in materia di tutela dell'ambiente loro pacificamente riconosciuta prima della revisione costituzionale del 2001, che rimane ferma, unitamente a tutte le altre attribuzioni statuarie come, da minimo, implicitamente ma chiaramente confermato dalla sent. n. 215 del 2006 di codesta ecc.ma Corte (punto 2.3. del Considerato in diritto). D'altro canto, per quanto riguarda le materie di competenza legislativa di cui all'art. 117, terzo e quarto comma della Costituzione, non si puo' certo escludere che le medesime vadano riconosciute anche alla ricorrente, per le parti in cui prevedono forme di autonomia piu' ampie rispetto a quelle ad essa attribuite dallo Statuto speciale e dalle norme di attuazione, cio' che, con riferimento alla ricorrente, potrebbe affermarsi con riguardo ad alcune materie, tra le quali l'industria, la gestione delle acque pubbliche ad uso idroelettrico, la tutela della salute, la protezione civile, il governo del territorio - per la parte eventualmente eccedente la materia urbanistica ed edilizia, assegnata alla competenza primaria della Regione Valle d'Aosta - sempre che codesta ecc.ma Corte non ritenga tali attribuzioni delle regioni ordinarie meno ampie proprio in conseguenza della competenza legislativa esclusiva dello Stato di cui alla lettera s) del secondo comma dell'art. 117, non applicabile alla ricorrente. 2. - Illegittimita' costituzionale del decreto legislativo 3 aprile 2006 n. 152 per eccesso di delega e violazione del principio di leale collaborazione. Il decreto legislativo n. 152 del 2006, nella sua interezza. oltre che nelle parti specificamente oggetto di censura sotto i profili di seguito indicati, deve essere anzitutto denunciato in quanto viziato da eccesso di delega e lesivo del principio di leale collaborazione. Quanto dedotto sub 2, salva indicazione contraria, s'intende richiamato in ognuno dei paragrafi successivi del presente atto, in aggiunta ai motivi di censura concernenti le singole disposizioni specificamente impugnate. Le legge 15 dicembre 2004 n. 308, «Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l'integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione», delega il Governo «ad adottare, entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge [...] uno o piu' decreti legislativi di riordino, coordinamento e integrazione delle disposizioni legislative» nei settori ematerie di seguito elencati (art. 1, comma 1; corsivo non testuale). Al successivo comma 4, si stabilisce che «I decreti legislativi di cui al comma 1 sono adottati su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, di concerto con il Ministro per la funzione pubblica, con il Ministro per le politiche comunitarie e con gli altri Ministri interessati, sentito il parere della conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281» (corsivo non testuale). L'art. 1, comma 8, della legge di delegazione stabilisce poi, tra l'altro, che i decreti legislativi di cui al comma 1 si conformano ai principi e criteri direttivi generali di seguito indicati, tra i quali vanno ricordati specialmente quelli di cui alla lettera e), che impone la piena e coerente attuazione delle direttive comunitarie, al fine di garantire elevati livelli di tutela dell'ambiente e di contribuire in tale modo alla competitivita' dei sistemi territoriali e delle imprese, evitando fenomeni di distorsione della concorrenza ed alla lettera m), che prevede la «riaffermazione del ruolo delle regioni, ai sensi dell'articolo 117 della Costituzione, nell'attuazione dei principi e criteri direttivi ispirati anche alla interconnessione delle normative di settore in un quadro, anche procedurale, unitario» (corsivo aggiunto). I limiti di oggetto della delega ed i richiamati principi risultano violati, in primo luogo, in considerazione della natura fortemente innovativa - ancor prima che riduttiva delle attribuzioni regionali - di molte delle disposizioni contenute nel d.lgs. n. 152, tra le quali, certamente, quelle specificamente impugnate con il presente ricorso. In secondo luogo, per il carattere lesivo delle attribuzioni regionali, come delineate dall'art. 117 della Costituzione e dalle norme dello, Statuto speciale per la Valle d'Aosta, nonche' dalle relative norme di attuazione, nei termini di seguito precisati. In terzo luogo, per la violazione del principio di sussidiarieta', di seguito dedotta con riguardo alle singole disposizioni impugnate. In quarto luogo, per la contrarieta' al diritto comunitario delle disposizioni denunciate sotto i profili precisati nei paragrafi seguenti. Ma la violazione dei principi e dei criteri della delega legislativa sui quali occorre anzitutto soffermarsi e' quella che si combina con la grave violazione del principio di leale collaborazione determinata dal procedimento seguito per l'esercizio della delega, non solo contrario all'art. 1, della legge n. 308 che imponea di sentire il parere della Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281) ma altresi' viziato dal costante attegeiamento governativo di chiusura e indifferenza per la richiesta, avanzata in piu' occasioni e in piu' sedi dalle, regioni e dagli altri enti territoriali, di una effettiva consultazione e di un adeguato confronto su di un testo destinato ad incidere ed interferire cosi' fortemente nelle attribuzioni regionali in considerazione della naturale pervasivita' e trasversalita' della competenza legislativa statale in materia di tutela dell'ambiente, in piu' occasioni sottolineata dalla giurisprudenza costituzionale (ex plurimis Corte cost., sentt. nn. 407 del 2002; 222 e 307 del 2003; 62, 108, 135 e 214 del 2005). Ne', ai sensi dell'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, puo' opporsi alla ricorrente la prevalenza della competenza statale di cui alla lettera dell'art. 117, secondo comma, della Costituzione, risultando piuttosto in questo caso applicabile quanto chiarito da codesta ecc.ma Corte nella sent. n. 50 del 2005. con riguardo alle ipotesi nelle quali «puo' parlarsi di concorrenza di competenze e non di competenza ripartita o concorrente», in merito alle quali, la pronuncia chiarisce che «per la composizione di siffatte interferenze la Costituzione non prevede espressamente un criterio ed e' quindi necessaria l'adozione di principi diversi: quello di leale collaborazione, che per la sua elasticita' consente di aver riguardo alle peculiarita' delle singole situazioni, ma anche quello della prevalenza, cui pure questa Corte ha fatto ricorso (v. sentenza n. 370 del 2003), qualora appaia evidente l'appartenenza del nucleo essenziale di un complesso normativo ad una materia piuttosto che ad altre» (corsivo aggiunto). Sennonche', come si e' detto, la prevalenza della competenza ambientale del legislatore statale ex art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione non puo' essere opposta alla Valle d'Aosta, titolare - come si e' detto ampiamente sub 1 - di estese competenze legislative ed amministrative costituzionalmente garantite in campo ambientale; ne', d'altro canto, come si vedra', le disposizioni impugnate, anche per il loro carattere autoapplicativo e di estremo dettaglio, possono considerarsi espressive di principi fondamentali, o di norme fondamentali delle riforme economico-sociali. Anche in materia di tutela dell'ambiente, comunque, il principio di cooperazione ha assunto un ruolo del tutto decisivo, sia, per cosi' dire, a monte, in sede di elaborazione della disciplina legislativa da parte dello Stato, sia nella fase applicativa. Come ha chiarito codesta ecc.ma Corte nella sent. n. 62 del 2005, «quando gli interventi dello Stato, in vista di interessi unitari di tutela ambientale, concernono l'uso del territorio, ed in particolare la realizzazione di opere e di insediamenti atti a condizionare in modo rilevante lo stato e lo sviluppo di singole aree, l'intreccio, da un lato, con la competenza regionale concorrente in materia di governo del territorio, oltre che con altre competenze regionali, dall'altro lato con gli interessi delle popolazioni insediate nei rispettivi territori, impone che siano adottate modalita' di attuazione degli interventi medesimi che coinvolgano le regioni sul cui territorio gli interventi sono destinati a realizzarsi». Dal verbale n. 13/05 della Conferenza Unificata, relativo alla seduta del 15 dicembre 2005 - punto 25 dell'ordine del giorno (doc. 2) - risulta in modo inconfutabile l'arbitrario rifiuto di rinvio del parere sullo schema di decreto legislativo recante norme in materia ambientale ai sensi dell'art. 1, comma 4, della legge 15 dicembre 2004, n. 308, richiesto a nome della Conferenza delle Regioni dal Presidente Errani «per consentire tutti gli idonei e necessari approfondimenti» (p. 29), sino a quel momento preclusi dalla brevita' dell'intervallo tra la trasmissione del testo e la riunione della Conferenza. Il rigetto della proposta di rinvio da parte del vice Ministro Nucara appare del tutto ingiustificato, anche perche' basato sul grave equivoco di ritenere erroneamente che «la legge di delegazione, approvata il 15 dicembre 2004, e' in scadenza nella giornata odierna» (p. 30), anziche' come viene fatto osservare nel corso della riunione, l'11 giugno 2006 (p. 35). Dal verbale risulta altresi' che «Il Presidente Errani rivolge un appello accorato al Governo, con il quale fa presente che la materia in argomento e' molto complessa, e che non attiene solo alle questioni ambientali, ma anche alla difesa del suolo, e ad altro. Specifica infatti che si tratta di una serie di politiche fondamentali che incrociano in modo forte, tutta l'articolazione legislativa delIe regioni e le politiche amministrative degli Enti locali e che i tempi non sono stati assolutamente sufficienti per valutare il materiale tecnico, atteso che gli allegati sono stati trasmessi il 7 dicembre» (p. 31; corsivo aggiunto). La grave anomalia del comportamento del Governo, attraverso il rappresentante del Ministero dell'ambiente, trova ulteriore conferma nell'insistenza del vice Ministro, il quale replica che «le contestazioni della Conferenza alla legge delega presentano due aspetti di ordine generale, che il Governo ritiene di non dover accogliere, poiche' nel caso contrario, si andrebbe oltre i termini imposti dalla legge di delega» (p. 31). Ma l'equivoco sulla scadenza del termine per l'esercizio della delega si associa ad una non meno grave ed inaccettabile interpretazione del principio di leale cooperazione e della necessita' - imposta sia dall'art. 1, comma 4, della legge di delega, sia dagli artt. 2, comma 3, e 8 del d.lgs. n. 281 del 1997 - di acquisire il parere della Conferenza Unificata. Tale necessita' e' infatti intesa dal rappresentante del Governo come un adempimento meramente formale, che dovrebbe ritenersi soddisfatto con la semplice trasmissione dello schema di provvedimento e l'iscrizione del relativo parere all'ordine del giorno di una qualsiasi riunione della Conferenza, senza necessita' alcuna di assicurare l'effettiva conoscenza da parte delle regioni del provvedimento oggetto del parere e la possibilita' di una formulazione in tempi ragionevoli del parere medesimo, vista l'ampiezza del testo in esame, richiesto dal principio di leale collaborazione, dalla legge di delega, dal d.lgs. n. 281 del 1997, il quale all'art. 2, comma 3, prevede l'obbligatoria consultazione della Conferenza Stato-regioni «in ordine agli schemi di disegni di legge e di decreto legislativo o di regolamento del Governo nelle materie di competenza delle regioni o delle Province autonome di Trento e di Bolzano che si pronunzia entro venti giorni; decorso tale termine, i provvedimenti recanti attuazione di direttive coniunitarie sono emanati anche in mancanza di detto parere. Resta fermo quanto previsto in ordine alle procedure di approvazione delle norme di attuazione degli statuti delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano» (enfasi aggiunta). Con riguardo al citato art. 2, comma 3, d.lgs. n. 281 necessaria garanzia ed attuazione legislativa del principio di leale collaborazione nella sent. n. 272 del 2005 codesta ecc.ma Corte ha dichiarato l'infondatezza di una questione di costituzionalita' di taluni decreti legge e delle relative leggi di conversione, sollevata (anche) in riferimento all'evocato principio di cooperazione, chiarendo che «l'art. 2, comma 3, del d.lgs. n. 281 del 1997, pure richiamato dalla ricorrente, prevede obbligatoriamente l'intervento consultivo della Conferenza Stato-regioni in sede di predisposizione dei disegni di legge governativi e dei decreti legislativi, non anche in quella dei decreti-legge e dunque anche delle relative leggi di conversione; salvo quanto previsto dal comma 5 per la c.d. "consultazione successiva"» (corsivo non testuale; nel medesimo senso, la precedente sent. n. 196 del 2004, punto 27 del Considerato in diritto). Ne', certo, si puo' nel presente caso eludere tale fondamentale disciplina assumendo l'esclusiva competenza statale nella materia in oggetto, giacche' il decreto legislativo impugnato investe, nel modo piu' incisivo, numerose attribuzioni legislative e amministrative regionali. L'interpretazione minimale e riduttiva dell'adempimento in discorso da parte del rappresentante del Ministero dell'ambiente, del tutto inaccettabile e tale da viziare irrimediabilmente il procedimento di adozione del decreto legislativo impugnato, e' documentata anche dai seguenti passaggi del verbale n. 13/05 del 15 dicembre 2005: «Il Vice Ministro Nucara chiarisce che i rapporti istituzionali prescindono dai rapporti politici, e che comunque lui e' sempre attento e rispettoso soprattutto dei rapporti istituzionali, ma che la legge delega scade e che pertanto, nonostante ritenga giusto instaurare dei rapporti di collaborazione fattiva, in modo da trovare soluzioni vantaggiose per tutti, ritiene veramente difficile poter accedere alla richiesta di ricevere un parere, positivo o negativo che sia, in una Conferenza che potra' essere tenuta a meta' gennaio; specifica che come detto la legge delega scade nella giornata odierna» (pp. 32 s.). Di analogo tenore quanto successivamente aggiunto dal Vice Ministro, il quale ha fatto presente «che il Presidente Errani ha specificato che la Commissione [parlamentare], nella giornata odierna, ha dichiarato che senza il parere della Conferenza Unificata non si puo' procedere, e che quindi siccome nella legge delega e' previsto che debba essere sentita la Conferenza unificata, ritiene che si possa procedere. Dichiara di non aver necessita' di un parere vincolante e riconferma quanto detto in precedenza» (p. 38). Dal verbale risulta che il Ministro La Loggia «conclude prendendo atto del mancato parere» (p. 38). In effetti, da quanto sopra riportato risulta soprattutto la circostanza inoppugnabile che le regioni non sono state messe nella condizione di poter esprimere il previsto parere e l'incompatibilita' con il principio di leale collaborazione dell'atteggiamento assunto dal rappresentante del Ministero dell'ambiente. Che il Governo ritenesse completato l'iter del decreto indipendentemente dalla necessaria acquisizione del parere della Conferenza unificata risulta anche dal comunicato relativo al Consiglio dei ministri n. 40 del 19 gennaio 2006 (doc. 3), nel quale si afferma che il Consiglio dei Ministri ha approvato uno schema di decreto legislativo che da' attuazione ad un'ampia delega conferita al Governo dalla legge n. 308 del 2004 per il riordino, il coordinamento e l'integrazione della legislazione in materia ambientale [...]; il Governo, valutati i preliminari pareri espressi dalle Commissioni parlamentari, inviera' nuovamente ad esse il testo per il completamento dell'iter istruttorio previsto dalla legge di delegazione». Come si vede, nel comunicato non si fa cenno alcuno al necessario parere della Conferenza unificata, ritenendosi definitiva la deliberazione in data 19 gennaio 2006. Ne' d'altro canto, la dedotta violazione del principio di leale cooperazione e della legge di delega puo' ritenersi in qualche senso sanata dalla presa d'atto, in sede di Conferenza unificata, nella seduta del 26 gennaio 2006, dell'ordine del giorno di cui all'Allegato sub A) recante un parere negativo sullo schema di decreto legislativo recante norme in materia ambientale espresso dalla Conferenza delle regioni e delle Province autonome in pari data (doc. 4), il quale, si noti, non era inserito tra gli argomenti all'ordine del giorno della Conferenza Unificata nella riunione del 26 gennaio 2006, come risulta dal Verbale n. 1/06 (doc. 5), ma tra gli argomenti proposti nel corso della seduta (p. 11 del citato verbale). Nel parere negativo del 26 gennaio 2006 le regioni hanno lamentato, tra l'altro, che l'approvazione in Consiglio dei ministri il 19 gennaio 2006 «rompe di fatto l'accordo firmato il 4 ottobre 2001 fra il Ministro Matteoli, le regioni, l'A.N.C.I. e l'U.P.l. nel quale le parti avevano concordato di "operare pariteticamente nell'elaborazione legislativa [...]"» e che «l'approvazione dello schema di decreto si configura come un atto unilaterale del Governo, che viola il principio di leale collaborazione tra le istituzioni e costituisce una scelta centralistica» (p. 1), in modo tanto piu' grave in quanto si versa in un ambito - quello della tutela dell'ambiente - non riducibile ad una materia di competenza legislativa statale, trattandosi piuttosto di un «"valore" costituzionalmente protetto. che, in quanto tale, delinea una sorta di materia "trasversale", in ordine alla quale si manifestano competenze diverse, che ben possono essere regionali, spettando allo Stato le determinazioni che rispondono ad esigenze meritevoli di disciplina uniforme sull'intero territorio nazionale» (Corte cost., sent. n. 407 del 2002; ma non pare inutile ricordare la piu' risalente sent. n. 183 del 1987, gia' citata). Il decreto legislativo veniva poi nuovamente approvato dal Consiglio dei ministri, in data 10 febbraio 2006, senza peraltro che risulti in alcun modo una considerazione delle osservazioni formulate dalle regioni, cio' che del resto trova conferma nella successiva richiesta di chiarimenti da parte del Presidente della Repubblica, che aveva ricevuto il testo per l'emanazione. Il decreto legislativo e' stato poi riapprovato dal Consiglio dei ministri il 29 marzo 2006 in una versione parzialmente modificata ed emanato successivamente in una versione non del tutto coincidente con quella trasmessa alle Commissioni parlamentari e alla Conferenza unificata, cio' che evidentemente determina un ulteriore vizio formale dell'impugnato decreto. Quanto precede - in ordine alla violazione del principio di leale cooperazione, del d.lgs. n. 281 del 1997 e della previsione della legge di delegazione relativa alla necessaria acquisizione del parere della Conferenza unificata - costituisce motivo di impugnazione del decreto legislativo, quanto meno nelle parti specificamente denunciate nel seguito, e pertanto integra i profili di censura relativi a tutte le disposizioni impugnate, che si appalesano incostituzionali, oltre che per la violazione dei parametri di seguito indicati, per violazione del principio di cooperazione (anche nell'attuazione ricevuta dagli artt. 2. comma 3, 8 e 9, comma 2, del d.lgs. n. 281 del 1997) e dell'art. 76 Cost., in relazione all'art. 1, comma 4, della legge n. 308 del 2004. 3. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 6 del d.lgs. n. 152 del 2006, per violazione delle attribuzioni costituzionali della ricorrente in materia ambientale, degli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., del principio di leale collaborazione, nonche' per eccesso di delega. L'art. 6 del d.lgs. n. 152 del 2006 prevede l'istituzione presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio - con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio - di una Commissione tecnico-consultiva per le valutazioni ambientali. La Commissione, tra l'altro provvede all'istruttoria e si esprime sui rapporti ambientali e sugli studi di impatto ambientale relativi a piani e programmi oppure a progetti rispettivamente sottoposti a valutazione ambientale strategica ed a valutazione di impatto ambientale di competenza statale, e si esprime altresi' sulle autorizzazioni integrate ambientali di competenza statale» (art. 6, comma 2). Sebbene, in base al tenore del citato comma 2, chiamata a pronunciarsi nell'ambito di procedimenti di competenza statale, la composizione dell'organo non e' rispettosa del ruolo e delle attribuzioni delle regioni, che a tali procedimenti non possono certo ritenersi estranee. In particolare, non e' idonea la composizione delle sottocommissioni prevista per l'esame dei provvedimenti che coinvolgano «specifici interessi regionali». In tali ipotesi, l'art. 6, comma 6 del decreto legislativo stabilisce che la sottocommissione sia integrata da un esperto designato da ciascuna Regione interessata: «In ragione degli specifici interessi regionali coinvolti dall'esercizio di una attivita' soggetta alle norme di cui alla parte seconda del presente decreto, la relativa sottocommissione e' integrata dall'esperto designato da ciascuna delle regioni direttamente interessate per territorio dall'attivita». Tale disposizione, anzitutto per la forte disparita' numerica tra i rappresentanti designati rispettivamente dallo Stato e dalle regioni, non pare garantire in modo adeguato il necessario coordinamento tra i vari livelli territoriali dell'ordinamento. Inoltre, del tutto indefinito rimane il ruolo specifico dell'«esperto» regionaIe, ne' e' specificato se egli sia o meno membro a tutti gli effetti della sottocommissione. L'articolo 6, comma 8, del resto, a riprova dell'estrema debolezza della partecipazione regionale all'organo di cui si tratta, stabilisce che la sottocommissione puo' comunque procedere anche in assenza di tale esperto, qualora la regione interessata non abbia proveduto a designarlo (in attuazione dell'art. 49, comma 3, a norma del quale «ciascuna regione e provincia autonoma comunica al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio il proprio elenco di esperti di cui all'articolo 6, comma 6, con l'ordine di turnazione secondo il quale, all'occorrenza, dovranno essere convocati in sottocommissione)». La denunciata disciplina statale e' pertanto inidonea a garantire che le decisioni adottate in esito ai procedimenti di cui si tratta, destinate ad incidere spesso pesantemente nella sfera delle attribuzioni e degli interessi regionali, siano assunte con un adeguato coinvolgimento delle regioni interessate, in applicazione di un principio affermato in termini del tutto espliciti da codesta ecc.ma Corte, in materia di VIA relativa alle opere di cui alla legge n. 443 del 2001 (la cosidetta «Legge obiettivo»). La sentenza n. 303/2003 ha infatti dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 19, comma 2, d.lgs. n. 190/2002, nella parte in cui, per le infrastrutture e gli insediamenti produttivi strategici, per i quali sia stato riconosciuto, in sede di intesa, un concorrente interesse regionale, non prevede che la commissione speciale per la valutazione di in impatto ambientale (VIA) sia integrata da componenti designati dalle regioni o province autonome interessate (corsivo non testuale). La disciplina della Commissione tecnico-consultiva per le valutazioni ambientali, destinata a prendere il posto, tra l'altro, della predetta commissione speciale per la valutazione di impatto ambientale, non puo' pertanto ritenersi corrispondente ai principi enunciati dalla Corte costituzionale, il rispetto dei quali richiederebbe la designazione da parte dalla Regione interessata non gia' di un soggetto genericamente qualificato come «esperto», bensi' di componenti a pieno titolo collocati, nell'ambito della sottocommissione, in posizione pariordinata ai membri di designazione statale, effettivamente in grado di rappresentare in modo adeguato il punto di vista della regione interessata dall'attivita' o dall'intervento sottoposti a valutazione ambientale. Si tratta insomma, nel caso dell'impugnato art. 6, di una forma di partecipazione regionale non necessaria, ne' garantita, la cui efficacia dipende dalla decisione insindacabile del vicepresidente competente, come risulta dal comma 5 («La Commissione opera, di norma, attraverso sottocommissioni. Le sottocominissioni sono composte da un numero variabile di componenti in ragione delle professionalita' necessarie per il completo ed adeguato esame della specifica pratica. L'individuazione delle professionalita' necessarie spetta al vicepresidente competente. Una volta individuate le figure professionali dei componenti e del coordinatore della sottocommissione, i singoli commissari sono assegnati alle sottocommissioni sulla base di un predefinito ordine di turnazione» (corsivo aggiunto). Anche i successivi commi 7 («Ai fini di cui al comma 6, le amministrazioni regionali direttamente interessate per territorio segnalano al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio il proprio interesse») comma 8 («Qualora le amministrazioni di cui al comma 7 non abbiano provveduto alla designazione degli esperti, la sottocommissione e' costituita nella composizione ordinaria e procede comunque all'istruttoria affidatale, ferma restando la possibilita' di successiva integrazione della sua composizione, nel rispetto dello stadio di elaborazione e delle eventuali conclusioni parziali cui sia gia' pervenuta») confermano l'opzione del legislatore statale per una partecipazione regionale solo eventuale, debole, non garantita, che rende costituzionalmente illegittimo l'intero art. 6. La disciplina concernente la Commissione tecnico-consultiva per le valutazioni ambientali e l'indifferenza per le esigenze di adeguato ed effettivo coinvolgimento delle regioni nei procedimenti suscettibili di investire aspetti di pertinenza degli enti territoriali, che essa sottintende, rende carente anche la connessa disciplina di cui al Capo II del Titolo III della Parte II del d.lgs. n. 152, contenente disposizioni specifiche per la VAS in sede statale, nella parte in cui richiama la Commissione di cui all'art. 6, e cio' in contrasto con quanto previsto dalla direttiva 2001/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 giugno 2001, concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull'ambiente, con conseguente violazione degli artt. 11 e 117, primo comma, della Costituzione. L'art. 6 della citata direttiva stabilisce infatti, al paragrafo 2 che «le autorita' di cui al paragrafo 3 e il pubblico di cui al paragrafo 4 devono disporre tempestivamente di un'effettiva opportunita' di esprimere in termini congrui il proprio parere sulla proposta di piano o di programma e sul rapporto ambientale che la accompagna, prima dell'adozione del piano o del programma o dell'avvio della relativa procedura legislativa» (enfasi aggiunta) e, al successivo par. 3, che «gli Stati membri designano le autorita' che devono essere consultate e che, per le loro specifiche competenze ambientali, possono essere interessate agli effetti sull'ambiente dovuti all'applicazione dei piani e dei programmi» Al par. 5, il richiamato art. 6 impone infine agli Stati membri di determinare le specifiche modalita' per l'informazione e la consultazione delle autorita' e del pubblico». 4. - Illegittimita' costituzionale degli artt. 4, comma 1, lettera a) n. 3, 7, comma 3, 10, 12, comma 2, 16 e 68 del d.lgs. n. 152 del 2006, in materia di Valutazione Ambientale Strategica, per violazione delle attribuzioni della ricorrente in materia ambientale ed in materie connesse; degli artt. 11 e 117, primo e quinto comma, Cost.; del principio di leale collaborazione; degli artt. 76 e 97 Cost. Per quanto concerne la Valutazione Ambientale Strategica, appare anzitutto lesiva delle attribuzioni regionali la previsione dell'art. 7, comma 3, in base alla quale sono sottoposti a VAS «i piani e i programmi, diversi da quelli di cui al comma 2, contenenti la definizione del quadro di riferimento per l'approvazione, l'autorizzazione, l'area di localizzazione o comunque la realizzazione di opere ed interventi i cui progetti, pur non essendo sottoposti a valutazione di impatto ambientale in base alle presenti norme, possono tuttavia avere effetti significativi sull'ambiente e sul patrimonio culturale, a giudizio della sottocommissione competente per la valutazione ambientale strategica». Sarebbe, pertanto, il livello statale a stabilire in modo insindacabile quali piani - ivi compresi quelli regionali e degli enti locali - siano da sottoporre a VAS, con conseguente compressione delle attribuzioni legislative ed amministrative regionali. D'altro canto, che tale disciplina si applichi alle regioni ed alle province autonome trova conferma nella collocazione topografica del medesimo art. 7, inserito nel Capo I, «Disposizioni comuni in materia di VAS ed altresi negli artt. 21 e 22, il cui comma 1 («Ferme restando le disposizioni di cui agli articoli 4, 5, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13 e 14, le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano disciplinano con proprie leggi e regolamenti le procedure per la valutazione ambientale strategica dei piani e programmi di cui all'articolo 21» corsivo non testuale) ben documenta l'effetto di svuotamento della competenza legislativa regionale nella materia ambientale ed in quelle connesse, sotto specificate. In proposito, non puo' non condividersi quanto espresso nel parere in data 26 gennaio 2006 della Conferenza delle regioni e delle province autonome, nel quale si osserva che «tale giudizio della sottocommissione vale non solo per i piani e i programmi statali, ma anche per quelli regionali e degli enti locali, configurando un indebito trasferimento di competenze e delineando una modalita' di funzionamento sicuramente poco efficiente, ma altamente centralizzante e gerarchizzante». La disposizione censurata introduce elementi di ulteriore incertezza in ordine al ruolo della Commissione tecnico-consultiva per le valutazioni ambientali, la quale, in base all'art. 6, comma 2 parrebbe (anche se il contesto normativo complessivo rende ambigua la disciplina dell'organo) riferire l'attivita' della stessa a procedimenti di competenza statale. In ogni caso, si tratta di una disciplina non suscettibile di esprimere norme fondamentali di riforma o principi fondamentali - tra i quali non si puo' certo annoverare una disposizione legislativa che rinvia ad un potere amministrativo insindacabile, per l'individuazione dei piani e dei programmi da sottoporre a VAS - lesiva delle attribuzioni regionali in materia di tutela dell'ambiente, non comprimibili, nel caso della ricorrente, sulla scorta dell'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., che nel presente caso non puo' trovare applicazione, secondo quanto stabilito dall'art. 10, legge cost. n. 3 del 2001. E' altresi' evidente il mancato rispetto del principio posto dalla gia' citata sentenza n. 303 del 2003, ed anche nelle successive n. 6 del 2004, 383 del 2005 e 214 del 2006 (spec. punto 4 del Considerato in diritto), in base al quale l'attrazione di competenze amministrative a livello centrale, unitamente all'esercizio dei poteri legislativi necessari a disciplinarne il corretto utilizzo pur in materie di competenza regionale, e' consentito - nel rispetto dei principi di sussidiarieta' differenziazione ed adeguatezza - solo previo esperimento di procedure di intesa con le regioni interessate, e comunque in un quadro adeguato di garanzie procedurali e cooperative, cio' che appare irrinunciabile a garanzia delle attribuzioni costituzionalmente garantite della ricorrente. Infatti, non solo e' indiscussa la potesta' legislativa della Valle d'Aosta in materia di tutela dell'ambiente, ma altrettanto incontestabile e' che l'attivita' di pianificazione e programmazione dell'uso del territorio rientra nella materia «urbanistica, piani regolatori per zone di particolare importanza turistica» e coinvolge competenze riguardanti le «strade e lavori pubblici di interesse regionale» nonche' - per quanto concerne la valutazione piu' strettamente ambientale - l'«agricoltura e foreste, zootecnia, flora e fauna». Tali materie, a norma dell'articolo 2, lettere a), f) e g) dello Statuto speciale per la regione Valle d'Aosta, approvato con legge costituzionale n. 4 del 26 febbraio 1948, sono assegnate alla potesta' legislativa esclusiva, o primaria, della ricorrente, che risulta cosi' lesa dalle disposizioni denunciate. Sempre relativamente alla VAS, l'art. 12, comma 2, del decreto legislativo impugnato introduce un drastico potere sostitutivo statale qualora l'autorita' preposta alla valutazione ambientale non si esprima entro 60 giorni. A tale riguardo, il Consiglio dei ministri e' autorizzato, previa diffida ed assegnazione di un ulteriore termine di 20 giorni, ad esercitare il potere sostitutivo. Tale norma si applica, fino all'emanazione della normativa regionale in materia, anche per le VAS di competenza regionale. La lesione delle competenze regionali deriva specialmente dalla previsione in base alla quale, ove il Consiglio dei ministri non si pronunci, si intende emesso parere negativo («L'inutile decorso del termine di cui al presente comma implica l'esercizio del potere sostituivo da parte del Consiglio dei ministri, che provvede entro sessanta giorni, previa diffida all'organo competente ad adempiere entro il termine di venti giorni, anche su istanza delle parti interessate. In difetto, per i piani e i programmi sottoposti a valutazione ambientale in sede statale, si intende emesso giudizio negativo sulla compatihiiita' ambientale del piano o programma presentato. Per i piani e i programmi sottoposti a valutazione ambientale in sede non statale, si applicano le disposizioni di cui al periodo precedente fino all'entrata in vigore di apposite norme regionali e delle province autonome, da adottarsi nel rispetto della disciplina comunitaria vigente in materia» [corsivo aggiunto]). Anche in merito a tale disposizione va riproposto quanto osservato nel gia' citato parere del 26 gennaio 2006 della Conferenza delle regioni e delle province autonome, nel quale si legge che l'art. 12, comma 2, «implica il rischio che numerosi piani e programmi abbiano un giudizio negativo di compatibilita' ambientale solo a causa della scadenza dei termini, con conseguente non approvazione del piano o del programma», con grave compromissione del principio di buon andamento della pubb1ica amministrazione di cui all'art. 97 Cost., ma anche con palese violazione dell'art. 2, lettera g), dello Statuto regionale, in base al quale l'urbanistica e' materia di competenza esclusiva regionale. Ancora in materia di VAS e' ravvisabile una violazione dei principi di cui alla direttiva comunitaria 2001/42/CE, in base alla quale (art. 4) la valutazione ambientale «deve essere effettuata durante la fase preparatoria del piano o del programma ed anteriormente alla sua adozione o all'avvio della relativa procedura legislativa» (corsivo aggiunto). Gli articoli 10 e 16 del decreto stabiliscono invece che la valutazione venga effettuata prima dell'approvazione, quando ormai l'elaborazione del piano e' giunta nel suo stadio finale, impedendo, cosi', ai soggetti pubblici e privati che hanno diritto di prendere parte all'iter di approvazione del piano, di effettuare le proprie valutazioni anche sulla base della valutazione ambientale del piano medesimo espressa dall'autorita' competente. Peraltro, il principio della partecipazione ed informazione del pubblico rispetto al procedimento di approvazione dei piani e' imposto anche dall'art. 6, par. 1, della direttiva comunitaria citata («La proposta di piano o di programma ed il rapporto ambientale redatto a norma dell'articolo 5 devono essere messi a disposizione delle autorita' di cui al paragrafo 3 del presente articolo e del pubblico)». Come si vede, tale principio, impone che «la proposta di piano o di programma ed il rapporto ambientale» siano messi a disposizione del pubblico. Esso e' pertanto violato anche dalle disposizioni di cui agli articoli 10, comma 2, e 16, comma 2 del d.lgs. n. 152 del 2006, che prevedono esclusivamente il deposito di una sintesi non tecnica presso gli uffici delle province e regioni interessate dal piano. Almeno la prima delle due disposizioni citate, applicabile anche ai procedimenti a livello regionale e locale, e' lesiva delle attribuzioni regionali in materia ambientale precisate sopra sub 1, oltre che delle competenze relative alle materie ulteriori trasversalmente interessate dalle procedure di valutazione ambientale. Il medesimo principio comunitario di pubblicita' appare violato anche dall'art. 10, comma 3, del decreto legislativo, il quale stabilisce che la pubblicazione totale o parziale delle proposte di piano sulla rete telematica avvenga solo nei casi stabiliti da un regolamento ministeriale; oltre che dagli artt. 16, comma 4, 19, comma 2, e 20, comma 3, del decreto, in base ai quali, anche su istanza del proponente, sarebbe possibile semplificare le modalita' di pubblicazione del piano. Almeno nel caso delle disposizioni inserite nel Capo I, «Disposizioni comuni in materia di VAS», la violazione del diritto comunitario e degli artt. 11 e 117, primo comma. Cost., si traduce in una lesione delle attribuzioni regionali in materia di tutela dell'ambiente, ed altresi' della competenza regionale in ordine all'attuazione delle direttive comunitarie, di cui all'art. 117, quinto comma, della Costituzione. Una violazione delle competenze regionali esclusive in materia di pianificazione urbanistica deriva poi dalla previsione di cui all'art. 10, comma 5, del decreto legislativo impugnato, in base alla quale le forme di pubblicita' previste dalla procedura di VAS - peraltro frammentarie ed incomplete - sostituiscono a tutti gli effetti tutte le altre forme di pubblicita' dei piani previste dalle ordinarie procedure di approvazione. Tali procedure, essendo di competenza esclusiva regionale, non possono che essere disciplinate con legge regionale anche per quel che concerne le forme di pubblicita'. Una violazione dei principi comunitari deriva anche dalla previsione di cui all'art. 68 del decreto legislativo n. 152 del 2006, in base al quale i progetti dei piani stralcio per la tutela dal rischio idrogeologico non sono sottoposti a VAS, quando invece l'art. 3, paragrafo 2, lettera a) della direttiva 2001/42/CE, prevede espressamente che siano sottoposti a valutazione ambientale «tutti i piani e i programmi che sono elaborati per i settori agricolo, forestale della pesca, energetico, industriale, dei trasporti, della gestione dei rifiuti e delle acque, delle telecomunicazioni turistico della pianificazione territoriale o della destinazione dei suoli, e che definiscono il quadro di riferimento per l'autorizzazione dei progetti elencati negli allegati I e II della direttiva 85/337/CEE» (corsivo non testuale). L'art. 3 della direttiva comunitaria 2001/42/CE risulta disatteso anche nella parte in cui (par. 1) assoggetta a valutazione ambientale i piani e i programmi che possono avere effetti significativi sull'ambiente. Tale norma comunitaria sottrae all'obbligo della valutazione ambientale esclusivamente i piani «che determinano l'uso di piccole aree a livello locale» (art. 3, par. 3). In contrasto con tale previsione, l'art. 4, comma 1, lettera a), n. 3 del decreto legislativo n. 152 stabilisce che la normativa in esame ha l'obiettivo di «promuovere l'utilizzo della valutazione ambientale nella stesura dei piani e dei programmi statali, regionali e sovracomunali». A questo riguardo, non si puo' non considerare che sussistono aree urbane eccedenti la definizione comunitaria di «piccole aree a livello locale» la cui pianificazione, pur non rientrando nel concetto di «pianificazione sovracomunale» puo' avere un significativo impatto sull'ambiente. Sul piano della tecnica legislativa - ma anche sotto il profilo degli elementi di incertezza che si introducono nei rapporti tra enti - va altresi' rilevato che la disposizione censurata da ultimo mal si coordina con la definizione di cui all'art. 5, comma 1, lettera d) del medesimo d.lgs. n. 152, a norma del quale per «piani e programmi» s'intendono «tutti gli atti e provvedimenti di pianificazione e di programmazione comunque denominati previsti da disposizioni legislative, regolamentari o amministrative adottati o approvati da autorita' statali, regionali o locali» (corsivo aggiunto). L'evidenziata lesione delle attribuzioni regionali determina altresi' la violazione dell'art. 76 della Costituzione, in relazione all'art. 1, comma 8, della legge n. 308 del 2004, nella parte in cui impone al legislatore delegato il rispetto dei principi e delle norme comunitarie, delle attribuzioni delle regioni ed in particolare delle norme statutarie e delle relative norme di attuazione delle regioni a statuto speciale, del principio di sussidiarieta'. 5. - Illegittimita' costituzionale degli artt. 23, comma 4, 25, 31, commi 1 e 2, e 33 del d.lgs. n. 152 del 2006, in materia di Valutazione di impatto ambientale (VIA), per violazione delle attribuzioni della ricorrente in materia ambientale e nelle materie connesse; degli artt. 11 e 117, primo e quinto comma, Cost.; del principio di leale collaborazione; dell'art. 76 Cost. Relativamente alla valutazione di impatto ambientale, occorre premettere che dalle stesse finalita' della medesima risulta la particolare attitudine lesiva della disciplina statale, ove non attentamente calibrata e coordinata con le molteplici prerogative e competenze regionali coinvolte. L'art. 24 del d.lgs. n. 152 stabilisce infatti in termini notevolmente ampi e «trasversali» le finalita' della VIA, la cui disciplina presenta una vis attrattiva di competenze regionali che non puo' che essere oggetto di uno scrutinio stretto in sede di giudizio di costituzionalita'. Il citato art. 24 stabilisce, tra l'altro, che: «La procedura di valutazione di impatto ambientale deve assicurare che: a) [...] siano considerati gli obiettivi di proteggere la salute e di migliorare la qualita' della vita umana [...] b) per ciascun progetto siano valutati gli effetti diretti ed indiretti della sua realizzazione sull'uomo, sulla fauna, sulla flora, sul suolo, sulle acque di superficie e sotterranee, sull'aria, sul clima, sul paesaggio e sull'interazione tra detti fattori, sui beni materiali e sul patrimonio culturale ed ambientale». Per quanto riguarda le disposizioni specificamente oggetto di impugnazione, anzitutto dall'art. 23 del d.lgs. n. 152 del 2006, che delimita il campo di applicazione di tale procedura, emergono numerosi profili di incompatibilita' con la normativa comunitaria. In particolare, al comma 4, lettere b) e c), vengono esclusi dalla VIA i progetti relativi ad opere di protezione civile oppure attuati in via d'urgenza, nonche' quelli di carattere temporaneo. Tale esclusione e' in contrasto con quanto disposto dall'art. 1, paragrafo 4, della direttiva 85/337/CEE concernente la valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati, in base al quale possono essere esclusi dall'applicazione della direttiva medesima, oltre ai progetti approvati con specifico atto legislativo (par. 5), solo i progetti relativi ad opere di difesa nazionale. La violazione dei principi comunitari predetti costituisce, altresi', eccesso di delega per violazione dell'art. 1, comma 8, lettera e) della legge n. 308/2004, in base al quale il Governo e' tenuto a dare «piena e coerente attuazione delle direttive comunitarie», «nel rispetto dei principi e delle norme comunitarie». Non si rinviene, infatti, nella direttiva in questione alcun principio che consenta in via generale di escludere le opere di protezione civile e quelle a carattere temporaneo o urgente dalle procedure di VIA. Anche a questo riguardo non e' inutile ricordare quanto specificamente segnalato al Governo in sede di Conferenza unificata, con il parere in data 26 gennaio 2006, nel quale si osserva quanto segue: «I progetti relativi ad opere ed interventi destinati esclusivamente a scopi di protezione civile o disposti in via d'urgenza possono essere esclusi unicamente alle condizioni e secondo le modalita' di cui all'art. 2, comma 3 della direttiva 85/337/CEE come modificata dalla direttiva 97/11/CE e dalla direttiva 2003/35/CE. Analogamente non e' possibile l'esclusione in modo generalizzato dei progetti relativi ad opere di carattere temporaneo, con particolare riferimento ai progetti di cui all'allegato I della direttiva 85/337/CEE che devono essere sottoposte a procedura di verifica o di valutazione secondo i criteri indicati al punto 13 dell'allegato II della direttiva medesima». Per quanto concerne l'autorita' preposta alla procedura di VIA, l'art. 25 del decreto legislativo impugnato appare lesivo delle competenze regionali, in quanto contrario al principio di sussidiarieta', e viziato da eccesso di delega, in relazione all'art. 1. comma 8, della legge n. 308 del 2004. Dalla lettera a) dell'impugnato art. 25 viene infatti attribuita allo Stato la VIA di tutti i progetti di opere sottoposte ad autorizzazione statale. Tale norma finisce per escludere qualsiasi valutazione, da parte delle regioni coinvolte, dei progetti autorizzati a livello nazionale ma con forte impatto sul territorio regionale. Ancor piu' grave e' quanto stabilito sempre dalla lettera a) del comma 1 del sopra citato art. 25, in base al quale compete allo Stato anche la VIA dei progetti di opere aventi impatto interregionale: si elimina qualsiasi procedura di coordinamento tra VIA regionali - gia' oggi esistenti - attribuendo allo Stato competenze non necessarie in relazione alla realizzionale dell'opera, per il solo fatto che questa interessa il territorio di piu' regioni. In tal modo, la gran parte delle opere finirebbe per essere sottoposta a VIA statale. Si riscontra, anche in questo caso, un eccesso di delega per contrasto con il disposto dell'art. 1, comma 8. della legge 308/2004, in base al quale il Governo e' tenuto a rispettare le competenze regionali, nonche' ad improntare la normativa delegata al principio di sussidiarieta'. Tale principio e' violato da una procedura che attrae a livello centrale VIA su opere la cui valutazione nazionale non e' necessaria per il corretto espletamento della procedura, senza neppure prevedere adeguate forme di coinvolgimento delle regioni interessate. Anche per la VIA l'art. 31 prevede un intervento sostitutivo del Consiglio dei Ministri in caso di inerzia dell'autorita' competente superiore a 90 giorni «La procedura di valutazione di impatto ambientale deve concludersi con un giudizio motivato entro novanta giorni dalla pubblicazione di cui all'art. 28, comma 2, lettera b), salvi i casi di interruzione e sospensione espressamente previsti». Tale termine e' in contrasto con il coordinamento delle procedure autorizzative da parte delle regioni, previsto dall'art. 45 del decreto. Infatti, la maggior parte delle regioni ad oggi ha adottato procedure di VIA di durata compresa tra i 120 ed i 150 giorni, con il risultato che, pur attivando correttamente la procedura secondo i tempi previsti dall'attuale normativa, le regioni si vedrebbero scavalcate dall'esercizio del potere sostitutivo statale. Per quanto riguarda la Valle d'Aosta, la vigente legislazione regionale, del tutto ragionevolmente, prevede ipotesi di proroga dei termini del procedimento alle quali non e' chiaro se si applichi l'eccezione prevista dall'impugnato art. 31, comma 1, per «i casi di interruzione e sospensione espressamente previsti». Si consideri, in particolare, l'art. 14, comma 5, della l.r. 18 giugno 1999, n. 14 «Nuova disciplina della procedura di Valutazione di impatto ambientale. Abrogazione della legge regionale 4 marzo 1991, n. 6 (Disciplina della procedura di valutazione dell'impatto ambientale», a norma del quale «nei casi in cui sia necessario procedere ad accertamenti o indagini di particolare complessita', la giunta regionale, su richiesta del Comitato di cui all'art. 4, puo' autorizzare la struttura regionale competente in materia di V.I.A. a prolungare lo svolgimento dell'istruttoria fino ad un periodo massimo complessivo di centottanta giorni». Anche la norma contenuta nell'art. 33 del decreto, in base alla quale vengono acquisiti alla procedura di VIA tutti gli elementi «positivamente valutati» in sede di VAS - a parte l'ambiguita' della formulazione, non comprendendosi se la disposizione faccia riferimento solo agli elementi favorevoli, ovvero a quelli «espressamente» valutati - contrasta con quanto disposto dall'art. 11 della direttiva 2001/42/CE, in base al quale la valutazione ambientale di piani e programmi «lascia impregiudicate le disposizioni della direttiva 85/337/CEE» relativa, appunto, alla VIA, e incide pertanto illegittimamente sulle attribuzioni della ricorrente. La richiamata disciplina infatti limita la discrezionalita' del legislatore regionale. competente anche in sede di attuazione delle citate direttive comunitarie a norma dell'art. 117, quinto comma, della Costituzione, il quale, in Valle d'Aosta, ha organicamente esercitato la sua specifica competenza in materia. Si veda, al riguardo, la gia' citata legge regionale 18 giugno 1999, n. 14, recante «Nuova disciplina della procedura di valutazione di impatto ambientale. Abrogazione della legge regionale 4 marzo 1991, n. 6 (Disciplina della procedura di valutazione dell'impatto ambientale)». 6. - Illeggittimita' costituzionale degli artt. 63 e 64 del d.lgs. n. 152 del 2006, concernenti le nuove Autorita' di bacino, per violazione delle attribuzioni della ricorrente in materia ambientale, di governo del territorio e di acque (desumibili dagli artt. 117, terzo e quarto comma, Cost. e 10, legge cost. n. 3 del 2001; nonche' dall'art. 2, lettere d), e), f), g), i), m), q) e dall'art. 3, lettera d) St. V.d'A.); dell'art. 4 St. V.d'A.; del principio di leale collaborazione; dell'art. 76 Cost. La disciplina contenuta nell'art. 63 del d.lgs. n. 152 del 2006 esorbita palesemente dai limiti di oggetto imposti dall'art. 1, comma 1, della legge delega, in base al quale il Governo e' delegato ad adottare «decreti legislativi di riordino, coordinamento ed integrazione» delle disposizioni legislative nelle materie e nei settori ivi indicati, tra i quali, alla lettera c), si menziona la «difesa del suolo e lotta alla desertificazione». In un quadro generale di riorganizzazione su base ceritralistica delle politiche in materia di difesa del suolo, la soppressione delle precedenti Autorita' di bacino e la loro sostituzione con Autorita' di bacino distrettuali a norma dell'art. 63, commi 1 e 3, ha evidentemente portata innovativa ed eccede pertanto dai sopra richiamati limiti della delega legislativa, stabiliti dall'art. 1, comma 1, della legge n. 308 del 2004. Ne' altre parti del citato art. 1 consentono un intervento cosi' radicale come la soppressione delle Autorita' di bacino di cui alla legge n. 183 del 1989 (Norme per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo), non riconducibile in alcun modo, in particolare, ai «principi e criteri specifici» in materia di tutela del suolo e risanamento idrogeologico di cui all'art. 1, comma 9, lettera c) della legge n. 308 del 2004, i quali impongono, tra l'altro, e piuttosto, di «valorizzare il ruolo e le competenze svolti dagli organismi a composizione mista statale e regionale». Nella legge n. 308 del 2004 si ipotizza la formulazione, se non di testi unici a carattere meramente «compilativo» o «ricognitivo», quanto meno di una normativa di riordino della legislazione vigente in materia di difesa del suolo, che dal decreto legislativo impugnato viene invece abrogata - e' il caso, in particolare, della legge n. 183 del 1989 e dell'art. 1 del d.l. n. 180 del 1998, convertito nella legge n. 267 del 1998 (che al comma 2 prevedeva procedure di intesa in Conferenza Stato-Regioni per la definizione di «programmi di interventi urgenti, anche attraverso azioni di manutenzione dei bacini idrografici, per la riduzione del rischio idrogeo1ogico») abrogati dall'art. 175 del decreto legislativo n. 152 - e disorganicamente nonche' parzialmente reintrodotta con modifiche comportanti un significativo ridimensionamento del ruolo regionale. In particolare, le regioni partecipano alla Conferenza istituzionale permanente, organo dell'Autorita' di bacino ai sensi dell'art. 63, comma 2, presieduto e convocato dal Ministro dell'ambiente e competente, in base al comma 4, ad adottare gli atti di indirizzo, coordinamento e pianificazione delle Autorita' di bacino distrettuali e ad esercitare le ulteriori competenze di cui al successivo comma 5. Dal comma 4 dell'impugnato art. 63 risulta una posizione del tutto subalterna delle regioni: «Alla Conferenza istituzionale permanente partecipano i Ministri dell'ambiente e della tutela del territorio, delle infrastrutture e dei trasporti, delle attivita' produttive, delle politiche agricole e forestali, per la funzione pubblica, per i beni e le attivita' culturali o i Sottosegretari dai medesimi delegati, nonche' i Presidenti delle regioni e delle province autonome il cui territorio e' interessato dal distretto idrografico o gli Assessori dai medesimi delegati, oltre al delegato del Dipartimento della protezione civile [....]. La conferenza istituzionale permanente delibera a maggioranza». Come si vede, alla Conferenza, che delibera a maggioranza, partecipano ben sei Ministri ed un delegato del Dipartimento della Protezione civile, accanto ai Presidenti delle Regioni interessate, che, com'e' agevolmente prevedibile, saranno sempre in minoranza. Si tratta di una disciplina che riduce ulteriormente - anziche' valorizzarlo, in conformita' al nuovo quadro costituzionale ed ai principi e criteri della delega - il ruolo regionale, rispetto a quanto previsto dall'abrogato art. 12 della legge n. 183 del 1989 (che prevedeva la presenza di un numero inferiore di ministri e non imponeva la deliberazione a maggioranza), la cui abrogazione totale rende, tra l'altro, difficilmente comprensibile il comma 6 dell'art. 61 del decreto legislativo n. 152, secondo il quale «restano ferme tutte le altre funzioni amministrative gia' trasferite o delegate alle regioni». Come ha sottolineato anche la Conferenza delle, regioni e delle Province autonome nel parere del 26 gennaio 2006, il meccanismo dell'adozione a maggioranza del piano di bacino da parte della Conferenza istituzionale permanente a norma dell'art 63 comma 5 lettera e), puo' comportare l'imposizione di scelte e decisioni in materia di pianificazione non condivise da parte di una singola regione direttamente interessata. Cio' appare tanto piu' inaccettabile in quanto, in materia di utilizzazione delle acque pubbliche, e' prevista in Valle d'Aosta una gestione coordinata e paritetica basata sull'art. 8, terzo comma, dello Statuto, a norma del quale l'utilizzazione delle acque pubbliche esistenti nella, regione deve avvenire «secondo un piano generale da stabilirsi da un Comitato misto, composto di rappresentanti del Ministero dei lavori pubblici e della Giunta regionale». A questo riguardo, mette conto ricordare che l'art. 1 della legge 5 luglio 1975, n. 304, recante «Norme per la utilizzazione delle acque pubbliche ad uso idroelettrico nella regione Valle d'Aosta» stabilisce che «per l'utilizzazione delle acque pubbliche ad uso idro-elettrico nel territorio della regione Valle d'Aosta si osserva il piano di utilizzazione redatto dal comitato misto previsto dal terzo comma dell'articolo 8 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4, debitamente aggiornato». Anche l'art. 7 della l.r. 8 settembre 1999, n. 27, recante «Disciplina dell'organizzazione del servizio idrico integrato» (pubblicata nel B.U. Valle d'Aosta 10 settembre 1999, n. 40), disciplina il piano regionale delle acque in termini cooperativi prevedendo, tra l'altro, al comma 2, che «in armonia con le previsioni della pianificazione di bacino del fiume Po, con le direttive del Comitato misto di cui all'articolo 8, comma terzo, dello Statuto speciale e con il concorso e la collaborazione di tutte le parti interessate all'uso e alla tutela del patrimonio idrico regionale, il piano regionale fissa i criteri e le direttive generali finalizzati a garantire», tra l'altro, «la corretta e razionale utilizzazione delle risorse idriche». La disciplina di cui all'impugnato art. 63 e' incompatibile con i principi criteri specifici» in materia di tutela del suolo e risanamento idrogeologico di cui all'art. 1, comma 9, lettera c) del d.lgs. n. 152 del 2006, i quali impongono, come si e' poc'anzi ricordato, di «valorizzare il ruolo e le competenze svolti dagli organismi a composizione mista statale e regionale. Le disposizioni impugnate, ben difficilmente qualificabili «di riordiono, coordinamento ed integrazione», ledono - piu' o meno direttamente - le competenze legislative regionali di rango primario di cui all'art. 2 dello Statuto in materia di piccole bonifiche ed opere di miglioramento agrario i fondiario (lettera e); urbanistica, piani regolatori per zone di particolari importanza turistica (lettera g): acque minerali e termali (lettera i); acque pubbliche destinate ad irrigazione ed a uso domestico (lettera m); tutela del paesaggio (lettera q); nonche' la competenza concorrente in materia di governo del territorio, ex art. 117, terzo comma, Cost., che si estende anche alla VaIle d'Aosta per quanto eccedente la materia urbanistica ed edilizia, assegnata alla competenza primaria della ricorrente. Non meno lievemente menomate sono poi le competenze amministrative della Rgione, di cui all'art. 4 dello Statuto e quelle di cui al d.lgs 16 marzo 1999, n. 89, «Norme di attuazione dello statuto speciale della Regione Valle d'Aosta in materia di acque pubbliche che all'art. 1, comma 1, prevede che «sono trasferite al demanio della regione tutte le acque pubbliche utilizzate ai fini irrigui o potabili, compresi gli alvei e le pertinenze relative» e, al comma 2, stabilisce che «la regione Valle d'Aosta esercita tutte le attribuzioni inerenti alla titolarita' di tale demanio ed in particolare quelle concernenti la polizia idraulica e la difesa delle acque dall'inquinamento». L'importanza delle attribuzioni regionali e delle garanzie partecipative nella materia in oggetto risulta chiaramente anche dalla sent. n. 534 del 2002, pronunciata in riferimento al previgente Titolo V, concernente l'art. 1-bis, comma 5, del decreto-legge n. 279 del 2000, che attribuiva alle determinazioni assunte in sede di Comitato istituzionale delle Autorita' di bacino (bacini idrografici di rilievo nazionale) il valore di «variante agli strumenti urbanistici». Tale disciplina viene ritenuta in netto contrasto con le competenze regionali in materia di pianificazione urbanistica: «la previsione di indiscriminata efficacia di variante agli strumenti urbanistici per tutte le determinazioni assunte, in relazione al piano stralcio per l'assetto idrogeologico, in sede di comitato istituzionale dell'Autorita' di bacino, ancorche' a seguito di esame della conferena programmatica con partecipazione regionale e dei comuni interessati (semplice parere), rappresenta una violazione della sfera di autonomia regionale (per riferimenti, v. sentenza n. 206 del 2001) in materia di pianificazione urbanistica. Di conseguenza, deve essere dichiarata la illegittimita' costituzionale dell'art. 1-bis, comma 5, del d.l. 12 ottobre 2000, n. 279, aggiunto dalla legge di conversione 11 dicembre 2000, n. 365». Un ulteriore profilo di incostituzionalita' riguarda poi il comma 3 dell'art. 63, a norma del quale «Le autorita' di bacino previste dalla legge 18 maggio 1989, n. 183, sono soppresse a far data dal 30 aprile 2006 e le relative funzioni sono esercitate dalle Autorita' di bacino distrettuale di cui alla parte terza del presente decreto. Il decreto di cui al comma 2 disciplina il trasferimento di funzioni e regolamenta il periodo transitorio». Si tratta di una disciplina manifestamente illegittima, e lesiva delle attribuzioni regionali, che crea un grave vuoto normativo senza peraltro approntare alcuna disciplina transitoria, la cui introduzione e' demandata al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri previsto dal precedente comma 2, senza alcuna garanzia sui tempi della sua emanazione. In generale, e con specifico riferimento a quest'ultimo profilo, nel parere della Conferenza delle regioni in data 26 gennaio 2006, si osserva: «Non e' pensabile approntare norniative di importanza strategica e di forte impatto sul territorio senza coinvolgere nel processo decisionale le regioni, giungendo perfino a sopprimere le Autorita' di Bacino della legge 183/1989 e tutto cio' che queste hanno prodotto fino ad oggi in termini di pianificazione, normative, vincoli e prescrizioni. Il pericolo maggiore derivante da questo decreto e' quello di creare un vuoto normativo che rischi di abbandonare a se stesso e ad un uso improprio il territorio italiano, che, per le sue caratteristiche fisiche oltre che per il verificarsi sempre piu' frequente di eventi climatici estremi, e' sempre piu' soggetto a fenomeni di dissesto idrogeologico, con darmi ingenti alle popolazioni, all'urbanizzato, alle infrastrutture, alle attivita' produttive». Tali rilievi sono integralmente fatti propri dalla ricorrente, che vi ravvisa ulteriori motivi di impugnazione. L'entrata in vigore della nuova disciplina determinia anche in Valle D'Aosta una grave situazione di incertezza in ordine ai fondamentali strumenti di pianificazione e gestione, a partire da quelli previsti dalla legge regionale 1° dicembre 1992, n. 67, «Interventi in materia di sistemazioni idraulico-forestali e difesa del suolo». Da ultimo, con la deliberazione del Consiglio regionale n. 1788/XII dell'8 febbraio 2006 e' stato approvato il Piano regionale di tutela delle acque ai sensi dell'art. 44 del decreto legislativo n. 152/1999 - espressamente abrogato dall'art 175 del d.lgs. n. 152 del 2006 che costituisce un piano stralcio di settore del piano di bacino ai sensi dell'articolo 17, comma 6-ter, della legge 18 maggio 1989, n. 183 (anch'essa abrogata d.lgs. n. 152 del 2006) e nel quale sono individuati gli obiettivi di qualita' ambientale e per specifica destinazione dei corpi idrici e gli interventi volti a garantire il loro raggiungimento o mantenimento, nonche' le misure di tutela qualitative e quantitative tra loro integrate e coordinate per bacino idrografico. Quanto dedotto nel presente paragrafo implica, in via conseguenziale, l'illegittimita' costituzionale anche dell'art. 64 del d.lgs. n. 152 del 2006, contenente la nuova ripartizione dei distretti idrografici, all'interno dei quali sono esercitate le funzioni delle nuove Autorita' di bacino distrettuale. 7. - l'illegittimita' costituzionale degli artt. 202 e 203 del d.lgs. n. 152 del 2006, relativi alla gestione dei rifiuti, per lesione delle attribuzioni della ricorrente in materia ambientale e igienico-sanitaria, nonche' per violazione dell'art. 117, quarto comma, Cost.; degli artt. 2, lettera b), e 4 St. V.d'A.; dell'art. 76 Cost. L'art. 202 (Affidamento del servizo) del d.lgs. n. 152 prevede al comma 1 che L'Autorita' d'ambito aggiudica il servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani mediante gara disciplinata dai principi e dalle disposizioni comunitarie. in conformita' ai criteri di cui all'articolo 113, comma 7, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, nonche' con riferimento all'ammontare del corrispettivo per la gestione svolta, tenuto conto delle garanzie di carattere tecnico e delle precedenti esperienze specifiche dei concorrenti, secondo modalita' e termini definiti con decreto dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio nel rispetto delle competenze regionali in materia». Si tratta di una disposizione illegittima anzitutto nella parte in cui prevede un decreto ministeriale destinato ad introdurre norme secondarie di dettaglio per la definizione di modalita' e termini di un procedimento per l'affidamento di un servizio pubblico locale, violando la competenza legislativa residuale ex art. 117, quarto comma, Cost. - riconosciuta da codesta ecc.ma Corte nelle sentt. n. 272 del 2004 e n. 29 del 2006 - attribuzione rafforzata, per quanto riguarda la ricorrente, dalla competenza primaria di cui all'art. 2, lettera b). dello Statuto, parimenti lesa, in materia di «ordinamento degli enti locali» (la materia e' inoltre contemplata dall'art. 3, lettera o), dello Statuto di autonomia). L'art. 202 viola inoltre i principi in tema di rapporti tra fonti statali e regionali, che in base ad una costante giurisprudenza costituzionale, anche precedente l'entrata in vigore dell'art. 117, sesto comma, della Costituzione escludono l'operativita' delle fonti regolamentari statali nelle materie di competenza regionale, tra le quali va incluso l'affidamento del servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani, sia in quanto riconducibile, come servizio pubblico locale, all'art. 117, quarto comma, Cost., applicabile, con riguardo alla materia dei servizi pubblici locali, alla ricorrente in base all'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001: sia in quanto rientrante nelle attribuzioni della ricorrente in materia di tutela dell'ambiente, riconosciute alla Valle d'Aosta dalla giurisprudenza costituzionale sopra richiamata, sub 1, non superata a seguito dell'entrata in vigore del nuovo art. 117, che non si applica alle regioni speciali nella parte in cui al secondo comma, lettera s) assegna alla competenza esclusiva del legislatore statale la tutela dell'ambiente. Anche i commi successivi dell'art. 202, da 2 a 6, e l'art. 203, disciplinante lo schema tipo di contratto di servizio, del d.lgs. n. 152 contengono una disciplina, estremamente dettagliata ed autoapplicativa, lesiva del le attribuzioni della regione, non riferibile alla competenza esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza, ex art. 117, comma 2, lettera e), della Costituzione, il cui esercizio rimane comunque assoggettato ad uno scrutinio stretto di costituzionalita', sotto il profilo della ragionevolezza e della proporzionalita' della disciplina statale, come codesta ecc.ma Corte ha chiarito, tra l'altro, nella stessa sentenza n. 272 del 2004, che ha censurato una normativa statale altrettanto dettagliata che, come quella impugnata con il presente ricorso, andava «al di la' della pur doverosa tutela degli aspetti concorrenziali inerenti al la gara». I principi enunciati nella sent. n. 272 del 2004, sono stati ripresi ed ulteriormente precisati nella sent. n. 29 del 2006, nella quale, con riferimento all'art. 117, secondo comma. lettera e), si chiarisce, da un lato, che tale titolo di legittimazione statale «e' riferibile solo alle disposizioni di carattere generale che disciplinano le modalita' di gestione e l'affidamento dei servizi pubblici locali di "rilevanza economica" e dall'altro lato che solo le predette disposizioni non possono essere derogate da norme regionali» (enfasi aggiunta). Ne' il carattere dettagliato ed autoapplicativo degli artt. 202 e 203, integralmente censurati e impugnati, puo' trovare giustificazione nella competenza statale di cui alla lettera s) dell'art. 117, secondo comma, della Costituzione, pur idonea ad investire diversi aspetti della vasta tematica della gestione dei rifiuti, ampiamente disciplinata dagli artt. 177 e seguenti del d.lgs. n. 152 del 2006. L'estensione della materia dei rifiuti (oggetto in Valle d'Aosta di un'organica disciplina legislativa regionale: legge 16 agosto 1982, n. 37, «Norme per lo smaltimento dei rifiuti solidi»; legge 16 giugno 1988, n. 44, «Disposizioni urgenti in materia di raccolta e stoccaggio provvisorio di rifiuti solidi urbani e per l'incenerimento dei rifiuti speciali a base organica nonche' degli animali o parti di animali da distruggere»; legge 21 agosto 1990, n. 60, «Ulteriori disposizioni in materia di smaltimento dei rifiuti solidi urbani e modificazioni alla legge regionale 16 agosto 1982, n. 37 cosi' come modificata dalla legge regionale 16 giugno 1988, n. 44»; legge 27 dicembre 1991, n. 88, «Disposizioni per lo smaltimento di liquami organici concentrati e di fanghi nonche' per il recapito in pubbliche fognature di scarichi di insediamenti produttivi»; legge 30 maggio 1995, n. 19 «Norme per il recupero ed ul riutilizzo di materiali inerti») e' tale da coinvolgere una pluralita' di attribuzioni regionali, lese dalle disposizioni legislative impugnate. Cio' risulta in modo evidente dall'art. 1, commi primo e secondo, della l.r. Valle d'Aosta 16 agosto 1982, n. 37, recante «Norme per lo smaltimento dei rifiuti solidi» a norma del quale: «La presente legge disciplina lo smaltimento dei rifiuti solidi e semisolidi nelle varie fasi di conferimento, raccolta, trasporto, trattamento e recupero come stabilito negli articoli seguenti. Lo smaltimento dei rifiuti solidi e semisolidi costituisce attivita' di pubblico interesse, ai fini della tutela della salute e del benessere della collettivita' e dei singoli, della protezione dall'inquinamento dell'aria, dell'acqua, del suolo, del sottosuolo, nonche' da ogni inconveniente derivante da rumori ed odori, della salvaguardia della flora e della fauna, della tutela dell'ambiente e del paesaggio». Per le ragioni sopra esposte, si impugna il d.lgs. n. 152 del 2006 almeno - per quanto riguarda il settore dei rifiuti - nella parte in cui, attraverso gli artt. 202 e 203, lede le attribuzioni in materia ambientale, igienico-sanitaria e urbanistica della ricorrente e, soprattutto, di fatto svuota la competenza esclusiva (o residuale) della regione in materia di servizi pubblici locali, basata sugli artt. 117, quarto comma. Cost. e 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, rafforzata, come si e' detto, dalla potesta' legislativa primaria della ricorrente di cui all'art. 2, lettera b), dello, statuto speciale, parimenti lesa.